Questo diario corso è dedicato al gruppo del cuore https://chat.whatsapp.com/C00RK1ZohbQLahs9qsdNhv link dinvito al gruppo e in particolare a Stefano Marzolla una mio carissimo amico con cui voglio Creare una ignegneria musicale emotiva… buona ettura 3294167403
Simbolicamente possiamo rappresentare
gli spazi della comunità in questo modo:
• Gestione emozionale e trasformazione
dei conflitti: il cuore del gruppo.
• Presa di decisione e governance: la
mente del gruppo.
• Coesione e celebrazione: l’anima del
gruppo.
• Indagine collettiva: l’immaginazione e
i sogni del gruppo.
Gestione emozionale
Lo spazio per la gestione emozionale del gruppo (spazio emozionale) è spesso trascurato
in molti gruppi. Questo è lo spazio dove rendere possibile ciò che abitualmente resta in
secondo piano nelle riunioni o assemblee: l’esprimere come ci sentiamo col progetto,
poter esprimere dubbi, paure, gioie, esperienze personali che stiamo vivendo nel gruppo
e farlo prima che diventino troppo grandi e arrivino a esplodere.
La sua assenza è una potenziale fonte di conflitto e tensione nei gruppi.
Per questo, creare con una certa regolarità spazi facilitanti di questo tipo può favorire la
creazione di fiducia nel gruppo e costruire uno stato di salute preventiva.
Questo spazio emozionale è spesso disprezzato, percepito come una minaccia o un
pericolo il fatto che le emozioni entrino nel gruppo e possano distrarre o destabilizzare.
Nota: Nessuna parte di questa dispensa può essere riprodotta tramite alcun
procedimento meccanico, fotografico o elettronico, né può essere trasmessa o essere
divulgata e/o copiata per uso pubblico o privato, senza previa autorizzazione scritta
dell’autore stesso
Gli spazi per la gestione emozionale dovrebbero essere momenti regolari e
continuativi durante tutta la vita del gruppo (settimanali, almeno mensili) nei quali
il gruppo genera la sua salute preventiva: spazi dove coltivare l’onestà, parlare in
prima persona, e poter nominare con regolarità come ci sentiamo nel progetto,
condividere le nostre esperienze interiori.
È un modo per creare fiducia, trasparenza e mantenere sgombri i canali comunicativi
prima che il conflitto inizi a scalare, prima che si inizi a interpretare, amplificare o
triangolare (parlare con un’altra persona di ciò che succede con un’altra alle sue
spalle).
Spazi di gestione emozionale più quotidiani o preventivi (come giri di check-in o
condivisioni o giri di parola) Continuativi
Spazi nei quali possono aprirsi processi profondi (momenti di cambiamento nei
gruppi, riflessioni o valutazioni profonde, esplorare eventi che hanno avuto un
impatto evidente nella vita dei gruppi) Continuativi
Lo spazio di trasformazione dei conflitti sarà il passo seguente, dato che
corrisponde a quello spazio dove gestire conflitti che sono già emersi e cercare di
creare spazi sicuri per ascoltare le diverse parti, capire meglio che necessità ci sono
dietro le accuse, e poter trasformare il conflitto verso nuove strade. Continuativi
Bussola delle emozioni di Vivian Dittmar
Con questa vogliamo sfatare il mito delle
emozioni positive o negative.
Le emozioni possono essere piacevoli o
spiacevoli.
Ogni emozione ha una sua parte di luce e la
sua parte d’ombra.
La luce dell’emozione è radicata alla sua
essenza, ha a che fare con quello che
l’emozione apporta e punta verso delle
necessità.
L’ombra si radica negli assoluti, nelle credenze
limitanti, ci allontana da ciò che l’emozione
può portarci e dalle necessità sottostanti.
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dell’autore stesso
Al centro la vergogna considerata come un’emozione sociale, (al pari dell’invidia,
gelosia, senso di colpa).
Diamoci il permesso di vivere anche certe emozioni!
É il primo passo per poterle vivere con pienezza e consapevolezza.
Cosa ci offrono la forza o la luce di ciascuna delle emozioni?
Abbiamo bisogno della luce della paura per:
attivare la creatività e incontrare nuovi cammini o soluzioni,
connetterci con i nostri propositi e poter superare barriere,
aprirci al nuovo e camminare nell’incertezza,
evolverci e poterci trasformare.
Abbiamo bisogno della luce della vergogna per:
riconoscere quando facciamo errori,
riconoscere i nostri limiti e accettare che non siamo supereroi o supereroine
sviluppare l’umiltà e accettarci come esseri in costante apprendimento
sviluppare l’amor proprio o l’autostima
poter chiedere scusa in modo autentico
porre i nostri doni al servizio del bene comune.
Abbiamo bisogno della luce della allegria per:
poter amare
connetterci con la nostra vitalità ed energia
godere della vita
prendere le cose con leggerezza
conoscerci e riconoscere cosa ci definisce
camminare verso i propositi della nostra vita
abitare posizioni di leadership
stabilire relazioni sane
incontrare la pace interiore.
Abbiamo bisogno della luce della rabbia per:
dire “no” o “sì” con chiarezza
essere chiari e prendere posizione con fermezza
essere determinati e prendere decisioni
essere prese sul serio e in considerazione da altre persone
iniziare o porre fine a qualcosa con determinazione
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dell’autore stesso
sapere cosa vogliamo e cosa no
porre limiti chiari
definire chi siamo
materializzare i nostri propositi e dirigerci verso di essi.
Abbiamo bisogno della luce della tristezza per:
poter accettare e lasciare andare
riconoscere e accettare la nostra impotenza
aprire il nostro cuore e apprezzare
connetterci con quello che è importante per noi e rendercene conto
approfondire e sviluppare la saggezza
radicarci nelle nostre intenzioni profonde e rafforzarci in esse
essere in pace con i nostri desideri e con i fatti
acquisire consapevolezza e aumentare la comprensione.
Ciascuna delle 5 emozioni può essere vissuta in modo diverso da ogni persona.
Non darsi il permesso di vivere una emozione, disprezzarla o marginalizzarla, come
persone o gruppi, ci può portare a vivere in modo prolungato la parte ombra di una
qualche altra emozione.
La danza tra la tristezza e la rabbia.
Nell’ambito dell’attivismo possiamo rimanere attaccati a identità di resistenza, che
prendono energia dalla rabbia distruttiva, dall’essere “contro” qualcosa…
Stiamo parte ombra della rabbia.
Possiamo invece scegliere di esprimere la tristezza, il dolore, la disperazione
connetterci con quello che è davvero importante per noi, camminare verso la luce della
tristezza e cioè l’accettazione e l’amore. E così, connettendoci con l’intenzione
profonda, l’ombra della rabbia, la distruzione, può iniziare a trasformarsi e camminare
verso la sua luce, la chiarezza e la determinazione.
Passare dall’essere spinti dal “no” o dall’andare contro ad essere spinti da un “sì” e
dall’andare verso qualcosa che è importante per noi.
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dell’autore stesso
La finestra di Johari
Lavora sull’identità personale, differenziando quattro quadranti:
• L’area libera e pubblica è la parte di me che mostro alle altre persone e che le altre
persone vedono di me. Può cambiare a seconda del gruppo e del contesto, così come le
altre aree.
• L’area occulta è formata da quelle parti di me che io conosco, ma non sono
conosciute dagli altri, quelle parti che non mostro. A volte non mostriamo delle parti di
noi per bisogno di intimità, oppure per paura di non essere accettati, per necessità di
approvazione, lealtà al pensiero del gruppo.
• L’area cieca costituisce quella parte di me che io non vedo, ma che le altre persone
possono vedere di me.
• L’area ignota è quella parte di me che io non conosco e che neanche gli altri
conoscono. In essa vive una parte sconosciuta dalla persona stessa o “ombra personale”,
così come una parte di “ombra collettiva”, che sono quelle parti che come esseri umani
non conosciamo ancora di noi come umanità.
La parte di noi che mostriamo non è sempre la stessa.
Quando portiamo la finestra di Johari nell’ambito del gruppo, ci rendiamo conto che, a
volte, per eccesso di omogeneità nel gruppo o per desiderio di essere accettati e
ricevere approvazione, tendiamo a marginalizzare parti di noi quando siamo in gruppo e
mostriamo solo una parte, un lato di noi. per adattarci al pensiero del gruppo e a ciò
che viene valorizzato in esso.
Questo può generare nei gruppi una tendenza
verso il pensiero omogeneo, una scarsa
conoscenza di sé da parte delle persone, la
marginalizzazione della diversità presente nel
gruppo e la propria diversità interna e
deprivare il gruppo di arricchimento e risorse
Come abbiamo visto ieri nel centro e contorno,
le persone fanno parte del contorno del gruppo
e lo modulano.
Così, generare spazi in cui condividere in modo
sicuro e senza giudizio le nostre diverse
esperienze interne può favorire la creazione di
fiducia, l’emergere della saggezza collettiva dal cerchio, visto come un maestro,
l’iniziare a comprendere la diversità del gruppo come fonte di ricchezza e abbondanza
per i progetti.
Per potersi conoscere come gruppo e generare un’atmosfera dove smettiamo di essere
un agglomerato di persone, per diventare un gruppo basato sulla fiducia è necessario:
• Mostrarci negli spazi sicuri creati: mostrarci è il modo di trasferire informazioni dalla
nostra area occulta alla nostra area pubblica.
Spesso, quando ci mostriamo e sveliamo quello che crediamo succeda solo a noi,
scopriamo risonanze con altre persone che si vedono riflesse in queste esperienze, e
questo ci aiuta a capirci meglio reciprocamente.
Scegliamo noi quando e come esporci e mostrarci, quando ci sentiamo pronti, ma
evitiamo di tendere a rifugiarci nella nostra zona di comfort, evitando le emozioni che
ci mettono alla prova e difendendo a tutti i costi il nostro sistema di credenze.
• Dare e ricevere rispecchiamenti (tipo di feedback): per prendere informazione dalla
nostra area cieca e portarla all’area pubblica, negli spazi protetti creati ad hoc
Il rispecchiamento serve ad arricchire il processo di evoluzione personale dell’altro e ad
appoggiarlo.
Quanto più profondo è uno rispecchiamento, più è necessario che venga dall’onestà e dal
cuore.
Dobbiamo allenarci in quest’arte di dare e ricevere specchi, poiché sono spazi di
vulnerabilità in cui è importante mantenere al margine i desideri di vendetta e la voglia
di regolare i conti con gli altri.
Grazie a questi due passaggi, cominciamo ad intravedere il quarto quadrante, l’area
ignota/sconosciuta.
La finestra di Johari, è uno strumento che possiamo usare per l’identità individuale ma
anche per l’identità di gruppo.
Nelle culture dei gruppi ci sono parti
che mostriamo perché come gruppo ci identifichiamo in loro e che sono benvenute
(area libera del gruppo),
altre che emarginiamo e nascondiamo (zona occulta) a causa delle nostre credenze o
perché non le riconosciamo (area cieca o ignota), come per esempio:
o La marginalizzazione delle leadership
o La marginalizzazione del potere nei gruppi che si vedono come orizzontali,
Parti di noi che come gruppo non vediamo senza l’aiuto di rispecchiamenti dall’esterno
(zona cieca)
Parti di cui siamo all’oscuro (zona ignota) perché non è stata esplorata oppure perché
emergono i limiti della cultura e del pensiero del nostro tempo o del nostro ambiente.
Tutto ciò si basa su tre valori fondamentali:
• La trasparenza (Onestà): dando importanza a rendere visibili quello che ci succede in
prima persona (le nostre esperienze interiori) e potendo onestamente osservarlo insieme
come gruppo, senza giudizi e in spazi sicuri partendo dalla responsabilità individuale.
• Il potere DIETRO la vulnerabilità: al di là dei modelli di autodifesa (difesa-attacco)
che usiamo come persone e come gruppi, a volte emerge un potere diverso, che nasce
dall’accettazione e dal poter mostrare cosa c’è in noi (che siamo esseri in cambiamento
costante).
Quando posso mostrare cosa c’è in me accettandolo, sono più forte e resiliente che
quando mi preoccupo di nasconderlo e non farlo vedere.
• Il potere della fiducia: SCOPO trasformare un insieme di persone in un gruppo coeso e
basato sulla fiducia. Mostrarci e accettarci fanno parte della fiducia, poiché vedere le
diverse parti di ognuno e mostrare le nostre ci aiuta ad uscire dai modelli precostituiti e
dalle maschere, e ci permette costruire una fiducia più autentica e profonda.
Questi tre valori, la trasparenza, la vulnerabilità e l’onestà, spesso sono tenuti in poco
conto nella nostra società, così come le emozioni, che sono subordinate alla ragione e a
volte ridotte a inutili o indesiderate.
In questo modo non facciamo uso dell’abbondanza e della conoscenza che ci
possono dare nell’ambito intrapersonale, interpersonale e di gruppo.
Gli strati dell’identità dell’essere: emozioni rifiutanti ed emozioni
rifiutate: Cerchio dell’IO
Se vediamo il nostro io o la nostra identità come
una cipolla con i suoi vari strati.
All’esterno dello strato più in superficie e quasi
fuori dalla propria identità
troviamo il nostro io immaginato (caratterizzato
dal fatto di sentire più sintomi che vere e proprie
emozioni).
Il primo strato della nostra identità è composto
dal nostro io adattato alla società, adattato e
modellato dalla cultura, che evita di entrare in
conflitto con ciò che ci si aspetta da lui e con la
normatività.
Poi dobbiamo superare uno strato di emozioni
rifiutanti o di difesa come l’invidia, la gelosia,
l’odio, la superbia, l’orgoglio, etc.
Queste sono emozioni di controllo che hanno la funzione di impedirci di sentire dolore,
identificare ciò che sentiamo veramente, poter accedere alle nostre emozioni reali ed
essere in contatto con la nostra vulnerabilità.
Quando superiamo questo strato, entriamo in contatto con il nostro materiale o
emozioni rifiutate come il dolore, la solitudine, la disperazione, l’impotenza,
l’abbandono e l’esclusione
Poter accedere e processare questo materiale rifiutato ci aiuta a liberarci delle nostre
zavorre e scendere così al livello dell’io essenziale o autentico.
Quando accediamo a questo strato iniziamo a vivere le nostre emozioni in modo più
autentico e cosciente, dando loro spazio, vivendo in pienezza la nostra paura, vergogna,
allegria, rabbia e tristezza, e accedendo alla loro luce.
Questo lavoro che facciamo a livello personale ha il suo omologo nei gruppi:
generando spazi sicuri in cui mostrare quello che ci risulta più difficile
per accedere a ciò che è autentico ed onesto e
così accedere alla fiducia e alla nostra intenzione profonda,
superando le lotte per il potere, il voler essere accettati o la tendenza
all’omogeneità e il gruppocentrismo.
Il carico emozionale e la scarica emozionale
Gli spazi di gestione delle emozioni hanno bisogno di una certa regolarità per mantenere
il gruppo coeso e costruire una salute preventiva.
Quando questi spazi mancano o scarseggiano, potenzialmente i conflitti possono
scoppiare o comunque essere presenti come un rumore di fondo nel campo, oppure le
emozioni possono uscire dal controllo ed emergere in modi inaspettati, per esempio nel
bel mezzo di una riunione o in un innocente fatto quotidiano che non sembrava avere
particolare importanza.
Tutti abbiamo il nostro carico emozionale, le nostre zavorre, e a volte i nostri temi non
risolti a livello emozionale stanno solo aspettando uno stimolo esterno che gli faccia da
bersaglio.
In qualche modo dovremmo renderci conto che l’altro è uno stimolo e non la causa di
quello che ci succede. Non è l’altro che causa la mia risposta.
È per questo che a volte possiamo vivere risposte amplificate ad alcune situazioni,
quando si attiva il nostro carico emozionale.
È importante fare un lavoro personale sul nostro portato emozionale se vogliamo
facilitare spazi di gestione delle emozioni o di trasformazione dei conflitti.
Conflitti
Definizione del conflitto di Roberto Tecchio, noto facilitatore e counselor italiano
“Esso è il risultato di due fattori: disaccordo e disagio personale”
“La chiave per la soluzione sta nel conflitto stesso’
Maurizio Di Gregorio, della “vecchia guardia comunitaria” dice:
E’ complesso andare d’accordo con se stessi, figuriamoci in due o più.
Un solo individuo non integrato, è una comunità affollata di identità diverse in
sotterranea relazione e competizione tra loro.
Siamo già tutti, al nostro interno, delle comunità inconsapevoli.
Talmente inconsapevoli, che restiamo sorpresi quando scopriamo una parte di noi che
pensavamo di non avere o non essere.
Se integriamo le parti dentro di noi possiamo essere un individuo.
Se integriamo la nostra vita con un’altra vita abbiamo una relazione profonda.
Se LA sappiamo condurre nel tempo, saremo in realtà una famiglia.
Se anche solo parte di questa integrazione, la sappiamo condurre con gli altri
saremo gruppo o comunità.
Quello che fa la differenza è l’intenzionalità del nostro essere e agire, cioè la qualità
integrativa del Qui e Ora, che ricrea costantemente la realtà nelle sue magie
Riconoscere che siamo noi stessi una comunità inconsapevole, che tutto il mondo è
una comunità inconsapevole, è forse il primo passo per poter essere veramente
intenzionali nella creazione-integrazione di una vita insieme
Elementi cruciali
Individuare la visione comunitaria e metterla per iscritto.
Avere molti individui con visioni diverse dei motivi che li hanno portati lì è la fonte di
conflitti più devastante per una comunità.
Questo scatena diverse discussioni su quelle che sembrano questioni ordinarie: quanti
soldi spendere per un determinato progetto, quanto e quanto spesso lavorare su un
determinato compito.
Tutti i membri della comunità devono essere sintonizzati sullo stesso canale, fin
dall’inizio, devono sapere quale sia la visione condivisa dall’intera comunità ed essere
sicuri che tutti la sosterranno.
Questa visione condivisa deve essere scritta singolarmente, discussa in modo
esaustivo e messa nero su bianco all’inizio.
Scegliere un processo decisionale equo, partecipativo e adeguato al gruppo.
Se si sceglie il consenso, bisogna essere preparati.
A meno che non si stia fondando una comunità piramidale che sia essa spirituale,
religiosa o terapeutica con una guida che prende tutte le decisioni, i membri
risentiranno di ogni eventuale squilibrio di potere.
E il risentimento per questioni di potere può diventare un’enorme fonte conflitti.
Il processo decisionale è il luogo di potere più evidente e, quanto più è condiviso e
partecipato, tanto meno sarà probabile che questo tipo di conflitto emerga.
Questo significa che tutti hanno voce in merito alle decisioni che avranno un impatto
sulla vita comunitaria con un metodo decisionale che sia gestito in modo equo e
paritario.
Il metodo deve essere ben chiaro a tutti i membri del gruppo.
Spesso viene spacciato per consenso in molti gruppi uno “pseudo-consenso”, e sfinisce
le persone, consuma le loro energie e la loro volontà, genera una grande quantità di
risentimento e porta disprezzare il metodo stesso.
Le radici del conflitto: bisogni insoddisfatti, carichi di emotività.
La maggior parte delle volte non resistiamo al conflitto, o lo ignoriamo o cerchiamo di
evitarlo.
Iniziare a vedere il conflitto come un’opportunità per riconoscere i nostri schemi, per
svelare e guarire le nostre vecchie ferite e angosce, sentirsi disposti a smettere di fare
ciò che si è sempre fatto, affrontare il conflitto, andarne alla radice e risolverlo, è
illuminante.
Non è un processo istantaneo e neppure ordinato.
Le strutture che ci portiamo addosso da una vita non vengono trasformate in un attimo.
A volte si cade nel rifiuto, per giorni o settimane, evitiamo il confronto e poi tutto
diventa insopportabile e, alla fine, qualcuno trova il coraggio o prova un fastidio tale da
gridare “ora basta, voglio chiarire” o la stessa comunità è di sostegno e spinta a questo
Il conflitto è la situazione in cui, minimo due persone, vedono una cosa in modi diversi e
caricano emotivamente il proprio punto di vista.
Superficialmente conflitto appare aver a che fare con divergenze relative a ideologie,
priorità e valori, specialmente quando si tratta di questioni comunitarie.
Ma al di sotto, sotto la soglia della consapevolezza, ci sono paura, sensi di colpa,
risentimento, desideri radicati derivanti spesso dall’infanzia, relativi a bisogni di base
quali accettazione, approvazione, affetto , empatia, intesa, rispetto, riconoscimento,
controllo, amore e così via.
Il problema non è avere bisogni radicati in profondità e caricati emotivamente, ma è
necessario credere che, in qualche modo, la comunità soddisferà tali bisogni, sviluppare
buone capacità comunicative e imparare ad accettare e ad accogliere le critiche e ad
apportare correzioni quando necessario, trovare modi per riconoscere e accettare i
malesseri personali, senza accusare gli altri, e gestire costruttivamente il conflitto
quando emerge.
Sono le piccole cose, le ferite minori, i piccoli risentimenti, i giudizi che pervadono
sottilmente, minacciano e limitano il grado di benessere delle nostre relazioni.
Anche la minima sfiducia (declinata come paura) può non farci essere totalmente onesti
l’un con l’altro.
Molte persone attratte dalla comunità hanno così tante esigenze insoddisfatte con una
forte carica emotiva, che sono facilmente portati a sentirsi feriti, offesi e a mettersi
sulla difensiva. Reagiscono in maniera brusca e grossolana, non accettano le critiche che
provengono dagli altri, mostrano un grado di vulnerabilità molto alto.
Se non si utilizzano nuove modalità di comunicazione, è facile che si generi una spirale
che porta a malintesi, risentimento e conflitti.
Sette tipi di conflitto comunitario.
È necessaria la trasformazione di alcuni comportamenti e atteggiamenti da vecchio
paradigma e da cultura dominante per non inficiare la vita della comunità.
Possiamo iniziare a smantellare questi comportamenti a partire da noi stessi,
convincendoci del fatto che se vogliamo vivere in modo più sostenibile e armonioso in
una comunità rispetto al resto della società, dobbiamo cambiare prima noi stessi!
- Sindrome del fondatore 1.
Significa assegnare, inconsapevolmente, ruoli parentali e autoritari ai fondatori e in
seguito, mettere in atto la ribellione adolescenziale e dare sfogo alle questioni
riguardanti la propria identità, sentendosi risentiti, giudicando e/o sfidando la
“saggezza” o l’esperienza dei fondatori della comunità, e/o la validità o l’importanza dei
valori, della visione e degli scopi comunitari. - Sindrome del fondatore 2.
I fondatori che si aggrappano ad una inconscia immagine di se stessi come genitori o
figure autoritarie; assumere uno status più “saggio”, superiore o più privilegiato rispetto
agli altri membri; si risentono, giudicano o sfidano qualsiasi tentativo di mettere in
discussione la propria autorità o offrono, nuove prospettive o cambiamenti senza
confronto o consenso - Abuso visionario.
Si ha quando fondatori visionari, dinamici e pieni di energia, lavorano lunghe ore in
condizioni assurde, mettono a rischio la propria salute e si aspettano che gli altri
facciano lo stesso. - Violazione di accordi comunitari.
Il risentimento e l’erosione della fiducia comunitaria si presentano quando poche
persone non seguono gli accordi e le politiche della comunità, mentre altri li rispettano
e li sostengono in pieno. - Lasciare che le persone possano permettersi di violare gli accordi comunitari.
L’ulteriore risentimento, l’erosione della fiducia e la rottura del benessere comunitario
che nasce quando un membro non viene richiamato al rispetto degli accordi e continua a
violarli quasi automaticamente, tale persona diventa una specie di “aristocratico” della
comunità, che ha il privilegio di vivere al di fuori delle regole. Spesso ciò nasce da
squilibri di potere interpersonali.
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- Squilibri di potere interpersonali.
Il conflitto, il risentimento e l’assenza di fiducia all’interno della comunità quando alcuni
membri hanno più potere rispetto ad altri anche a causa di comportamenti che altri non
hanno la voglia o il coraggio di affrontare.
Questi possono includere:
il potere dell’intimidazione: quando si emana abitualmente rabbia, ira repressa,
panico, si parla duramente o aspramente, si fa il tiranno, si criticano le persone.
La persona con potere di intimidazione esercita il potere sugli altri membri perché è
difficile fare appello al coraggio o all’energia per dissentire dalle sue opinioni o
chiedere di cambiare comportamento.
Può darsi che le persone abbiano chiesto varie volte di provare a cambiare, ma poi
hanno desistito, o magari la persona ora è meno aggressiva come effetto delle
critiche passate e gli altri sono troppo logori per chiedere altri cambiamenti, o la
persona offre anche qualità positive tali che gli altri si rassegnano ad avere questo
dono bipolare e lasciano correre.
Il potere dell’indebolimento: sparlare, discreditare e indebolire il comportamento
e/o il carattere degli altri membri della comunità, supporre il peggio sulle ragioni
della persona presa di mira e poi criticare tali motivi in presenza di terze persone,
“sta solo cercando di fregarci tutti, cerca di manipolare tutti”, non riconoscere le
proprie paure, non parlare di queste preoccupazioni con la persona o non richiedere
la mediazione di una terza persona.
Chi cerca di delegittimare esercita il potere sugli altri membri della comunità,
perché lui agisce alle spalle delle persone, mentre gli altri temono di essere le
prossime vittime e quindi non danno voce a queste preoccupazioni.
Il potere ipersensibile: reagire ad una critica espressa anche con moderazione o alle
richieste di cambiamento del comportamento come se fosse un’offesa o una ferita
intollerabile; diventare visibilmente turbati quando qualcuno non concorda con le
nostre opinioni o idee, rispondere mettendosi sulla difensiva o giustificandosi così
che le persone si arrendano. Questo esercita il potere sugli altri perché nessuno ha la
pazienza o l’energia di affrontare gli alti livelli di paura della persona.
Le persone con potere ipersensibile, come quelle con potere di indebolimento o di
intimidazione, mantengono il potere sopra gli altri perché raramente ricevono
critiche. - Supporre il peggio sui motivi degli altri. Provare risentimento o criticare qualcuno
non solo per ciò che avrebbe potuto fare ma anche per supposizioni riferite alle loro
azioni, e usare tali supposizioni come prova di malafede di qualcuno o dei difetti
caratteriali, senza rendersi conto che queste sono solo supposizioni e non fatti, e non
chiedere chiarimenti alla persona.
8.
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La creazione di accordi specifici per la risoluzione dei conflitti.
Regole di base per la risoluzione dei problemi.
Tutti i membri concordano nel cercare di risolvere i problemi dapprima affrontandoli
direttamente con la persona interessata.
Implicito nell’accordo c’è l’impegno ad una onesta e diretta risoluzione dei problemi.
Nel caso in cui fosse necessario ricorrere alla soluzione di un conflitto, tutti i membri
concorderanno con le seguenti regole di base.
Impegno al rispetto reciproco.
Impegno a risolvere il problema.
Nessuna umiliazione.
Nessuna intimidazione, diretta o implicita.
Nessun contatto fisico.
Nessuna interruzione.
Accordo nell’usare un protocollo.
Protocollo di risoluzione dei conflitti.
I membri in conflitto della comunità:
faranno tutti gli sforzi, in buona fede, per risolvere il problema tra di loro.
Se ciò non funzionerà:
chiederanno ad un (o due, angeli) membro scelto congiuntamente di aiutare a
mediare per risolvere il problema, con la partecipazione delle parti in conflitto.
Se ciò non funzionerà:
chiederanno formalmente l’assistenza della comunità nella risoluzione del problema.
Se la comunità non riesce a dirimere la disputa
la comunità potrà decidere di coinvolgere un aiuto esterno per risolvere il problema.
Ogni conflitto
Insorge con la scoperta delle nostre differenze, specialmente quando viviamo tali
differenze come una minaccia,
Si alimenta del combustibile (polveri da sparo) che portano le persone (emozioni ecc
Si mantiene con una distribuzione non equilibrata di potere.
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Differenza, combustibilità e potere sono i fattori chiave che intervengono in ogni
situazione conflittuale.
Fasi di un conflitto. L’intensificazione del conflitto
Disagio: Sensazione intuitiva che qualcosa non funziona, con qualcuno, con un gruppo,
con la tua vita. È il momento di chiederti: C’è qualcosa che potrei fare adesso?
Incidenti: Qualcosa di poco importante che ci lascia una sensazione di preoccupazione o
irritazione, normalmente per poco tempo, per cui tendiamo a dimenticarlo.
Malintesi: Si producono quando le nostre aspettative di come dovrebbero essere le
cose, basate su supposizioni non condivise con gli altri, non sono soddisfatte. Di solito
accade quando c’è una comunicazione carente o poco chiara, o perché non vogliamo
vedere che gli altri sono diversi da quello che volevamo che fossero.
Tensione: Si tratta già di uno stato permanente che accompagna la nostra irritazione
verso le altre persone. Si manifesta attraverso l’abbondanza di attitudini negative,
opinioni e comportamenti che con più o meno consapevolezza, in maniera più o meno
sottile, hanno il fine di arrecare danno.
Crisi: Il conflitto si fa evidente, le emozioni fino ad ora represse si liberano con forza,
il comportamento si abbandona all’intensità può comparire la violenza.
Atteggiamento di fronte al conflitto
Qui vediamo gli atteggiamenti più
comuni verso il conflitto.
Una persona può mostrare differenti
atteggiamenti a seconda del ruolo che
gioca nel conflitto.
La tabella mostra due assi principali:
interesse e relazione.
Per esempio, una persona competitiva è più orientata a difendere i propri interessi che
curare la relazione, mentre una persona accomodante mette come priorità la relazione
rispetto ai propri interessi.
Nota: Nessuna parte di questa dispensa può essere riprodotta tramite alcun
procedimento meccanico, fotografico o elettronico, né può essere trasmessa o essere
divulgata e/o copiata per uso pubblico o privato, senza previa autorizzazione scritta
dell’autore stesso
Anche se senza dubbio il modello di collaborazione ci può apparire il più desiderabile,
nessuno di questi dovrebbe essere idealizzato.
Le attitudini o le strategie che adottiamo in un conflitto dipendono da molti fattori che
probabilmente condizionano la nostra risposta reale.
1.Ritirata (evitare, accomodare)
È una strategia difensiva che utilizziamo quando crediamo che qualcuno o qualcosa ci
possa arrecare danno, quando non siamo sicuri del nostro potere o quando non ci
sentiamo abbastanza coinvolte.
Fuggire dalle situazioni di conflitto non è una buona strategia perché ci impedisce di
crescere come persone e partecipare a una vita piena e felice.
In alcune occasioni può essere conveniente ritirarsi, momentaneamente, soprattutto se
stiamo vivendo una situazione di inferiorità che ci può arrecare molto danno.
Possiamo cercare supporti, recuperare il nostro potere e avvicinarsi alla situazione da
una posizione più favorevole.
Differenti modalità di evitare un conflitto:
Alcune persone temono così tanto i conflitti che investono gran parte della loro energia
per evitare di entrare in relazione con persone differenti.
Altre persone fingono semplicemente che non ci siano conflitti,
perché non hanno fiducia nelle loro capacità di affrontarli
perché si sentono colpevoli per il fatto stesso che questi esistano i conflitti e
preferiscono ignorarli, per non affrontare il senso di colpa
perché pensano che il conflitto scomparirà da solo
Perché pensano che loro non possano farci nulla.
Esistono persone che riconoscono internamente il conflitto, lo vivono con dolore, però
non sono capaci di confrontarsi con l’altra parte
perché temono le conseguenze di questo scontro,
perché pensano che potrebbero perdere qualcosa di prezioso
perché sono state educate a vivere con rassegnazione i conflitti.
Molte volte ci ritiriamo da una situazione conflittuale solo apparentemente,
in realtà continuiamo a essere immersi in essa
elaboriamo strategie per vendicarci e castigare l’altra parte in una modalità che ci
richieda il minimo costo con il massimo rendimento.
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dell’autore stesso
2.Io vinco / Tu perdi (competizione)
Si tratta di un atteggiamento abbastanza abituale in cui cerchiamo, inconsciamente, di
riaffermarci come persone, di nascondere le nostre fragilità e sfuggire alla paura che
mostrare debolezza produce in noi.
Con questo atteggiamento ogni relazione si tramuta in una competizione in cui speriamo
di uscirne trionfanti.
In un conflitto, questa attitudine si traduce nel voler avere ragione e vincere sull’altra
parte.
Questo approccio fa un uso molto distruttivo del potere, ricorrendo all’intimidazione, al
controllo e alla manipolazione come strategia per indebolire l’altra parte.
Il vincitore può forse godere di benefici a breve termine, ma alla lunga dovrà
combattere con il fattore vendetta, affrontare la frustrazione del capire che comunque
non ha ottenuto quello che voleva, e sicuramente le sue fragilità e paure rimarranno.
Probabilmente continuerà a non avere buone relazioni
- Compromesso (patto o contrattazione)
Confrontarsi con il conflitto con questa attitudine significa vedere il conflitto come un
gioco in cui le richieste e gli interessi delle parti si negoziano e l’esito si definisce per la
quantità che ogni parte concede.
Questa attitudine incide molto nelle posizioni, ma ignora i bisogni, i valori, gli obiettivi e
i sentimenti delle parti implicate.
Anche se in alcune occasioni si possono raggiungere buone soluzioni, in generale
contrattare porta a un senso di insoddisfazione per tutti.
L’approccio del compromesso può anche complicare il conflitto, che magari ad un certo
livello era semplice, ma con il comparire di manovre e richieste assurde per cercare
qualche vantaggio nella negoziazione, alcune delle parti finiscono per sentirsi irritate. - Tu vinci / Io vinco (collaborazione)
Con questo approccio non ci sono né vincitori né perdenti, quanto piuttosto la scoperta
collettiva che ci sono opzioni più ampie rispetto alle posizioni ristrette da cui partivamo,
e che queste portano benefici a entrambi, stimolando e approfondendo la nostra
relazione.
Il triangolo drammatico (conflitto di ruoli)
In generale chiamiamo aggressore la
persona o il gruppo che utilizza il
proprio potere su altre persone o
gruppi per ricavarne un vantaggio o
mantenere un privilegio, ricorrendo
all’intimidazione, forza, repressione
o violenza fisica, e provocando così
un danno fisico, psicologico o
morale.
Chiamiamo vittime le persone o
gruppi che soffrono o hanno sofferto
di aggressioni e che sono stati
colpiti da tale condotta aggressiva.
Aggressore e vittima sono, d’altra parte, ruoli del campo di un gruppo.
L’aggressore è colui che ferisce con quello che dice o fa, la vittima sente il dolore o la
ferita e si lamenta apertamente o in silenzio.
In linea di massima, l’aggressore ha il potere e lo
utilizza per trarne benefici.
Tuttavia non sempre la vittima è un ruolo indifeso e
sofferente. La vittima infatti in certe occasioni ha un
certo potere e con un suo uso inconsapevole può fare
molti danni, può verificarsi un ribaltamento di ruoli in
cui l’aggressore diventa vittima e quest’ultima diventa
aggressore.
In molti conflitti il dolore affligge le parti coinvolte,
trasformandole tutte in vittime.
Quando ci viene arrecato un danno tutti lo
riconosciamo immediatamente e ci lamentiamo, ci
presentiamo quindi come vittime, mentre ci risulta
molto più difficile riconoscere il danno che noi
facciamo, che senza dubbio esiste, visto che qualcuno
si lamenta e assumere il ruolo dell’aggressore che
abbiamo dentro.
Questi due ruoli di solito appaiono insieme con un altro ruolo, che chiameremo
salvatore, formando così una struttura di ruoli con conseguenze in generale disastrose:
il triangolo drammatico.
A volte ci siamo sentiti molto impotenti, a causa di persone più potenti che ci hanno
danneggiato (vittime), altre volte siamo noi i potenti e magari abbiamo abusato delle
altre persone inconsciamente (aggressori o persecutori), altre volte infine vediamo
delle persone che subiscono ingiustizie e ci offriamo per aiutarle (salvatore).
Triangolo virtuoso Con un cambio di atteggiamento, il triangolo di potere
si può trasformare in un triangolo di scoperta.
Il persecutore che diventa consapevole
del proprio potere e che ne fa un uso
trasparente diventa un autentico
leader, la cui caratteristica principale è
l’assertività: utilizza il proprio potere
per il bene di tutti, abbandona le
minacce e i risentimenti, espone
chiaramente le sue ragioni e sollecita e
rispetta i punti di vista degli altri.
La vittima che diventa consapevole
della sua situazione e fa un uso
trasparente del proprio potere (che
comunque ha) diventa anche essa un
leader, la cui capacità è mostrarsi
vulnerabile e assumere la responsabilità
dei propri atti e sentimenti: utilizza il
proprio potere per il bene di tutti,
trasformando la propria opposizione e
critica in qualcosa di utile e costruttivo,
abbandona i desideri di vendetta e i
piccoli atti terroristici, utilizzando
anche le situazioni più difficili come
un’opportunità per imparare e
celebrando la propria capacità di trovare
il proprio cammino.
Il salvatore che si riempie di umiltà e compassione, agisce con autenticità e trasparenza
convertendosi in un vero facilitatore, in un elder (anziano, saggio): accoglie
indistintamente entrambi le parti del conflitto, osserva la situazione globale e riesce a
valutare quando l’aiuto è o non è adeguato; interviene il giusto e il suo ruolo passa
inosservato
Passi per la gestione di un conflitto tra le parti
La attitudine “tu vinci / io vinco” suppone una serie di passi per la soluzione del
conflitto che ci porta a considerare diversi elementi essenziali per far sì che il conflitto
possa dispiegare tutto il suo potere creativo:
- Collaborare nella creazione di un’atmosfera propizia, incentivando la
comunicazione empatica e la compassione; - Chiarire le percezioni: come vedo io il conflitto? come lo vede l’altra parte? dove si
innestano le nostre differenze? - Distinguere le posizioni (quello che diciamo), gli interessi (quello che vogliamo
raggiungere) e i bisogni, sia individuali che collettivi; - Costruire un potere positivo condiviso: qual è il mio potere? che potere ha l’altra
parte? come possiamo utilizzare il nostro potere insieme per avere un reciproco
beneficio? - Gestire le emozioni: come gestisco le mie emozioni? come le gestiscono gli altri?
cosa posso fare per avere un maggior controllo delle mie emozioni? - Riconciliazione e perdono: Come influisce il passato nella relazione? ho bisogno che
mi chieda delle scuse? dovrei chiedere scusa? - Generare opzioni e sviluppare la fattibilità;
- Stabilire accordi e cooperare alla loro realizzazione.
Rispondi alle domande del punto 2-3-4-5-6
Il potenziale dei conflitti
Il conflitto non si può separare dalla diversità e dalla vita.
Dove c’è omogeneità, non c’è tensione, non c’è conflitto, ma neanche movimento, né
vita.
La nostra grande sfida, come esseri umani, è apprezzare e sostenere la diversità e nello
stesso tempo imparare a riconoscere la coesione che la sostiene, in modo da poter
vivere l’incontro con le differenze, a volte con tensione e difficoltà, ma senza cadere
Il problema del conflitto non è la sua esistenza, ma è la nostra incapacità di
accettarlo come qualcosa di inerente alla vita, la nostra tendenza ad averne paura e
a reagire evitandolo o rispondendo con aggressione e violenza.
La nostra prima lezione è di cambiare la nostra attitudine in relazione al conflitto, per
avvicinarci ad esso con interesse e apertura, senza dimenticare che il processo per
affrontare e risolvere i conflitti ci aiuta a capire chi siamo, a ricollocarci nella vita e
riscoprire il suo significato.
Questo significa da un lato lasciare la prospettiva del “vincitore e perdente” e dall’altro
adottare una nuova prospettiva in cui “siamo tutti vincitori”.
Possiamo paragonare il conflitto al fuoco: entrambi hanno la capacità di
trasformarci o di distruggerci.
Così come il fuoco ha un grande potenziale di darci calore e farci sentire bene, il
conflitto ha un enorme potenziale creativo che, se ben utilizzato, ci permette di
conoscerci meglio, di conoscere i nostri limiti e, in questo modo, di arricchire la nostra
connessione vitale, sentendoci vivi.
Come il fuoco fuori controllo può essere molto distruttivo, così ogni conflitto
incontrollato ci può causare molti danni.
Il fuoco si può accendere semplicemente con una scintilla che salta nell’aria e che cade
in una lettiera secca e infiammabile.
Anche il conflitto può iniziare con piccoli incidenti che vengono accolti da risposte
automatiche cariche di rabbia e dolore.
Se la legna secca è l’alimento del fuoco, la nostra combustibilità è l’alimento del
conflitto.
In ultima analisi, tutti i conflitti si riferiscono alle persone.
“dietro i problemi più difficili abbiamo persone o gruppi di persone che non si trovano
bene gli uni con gli altri”.
Per comprendere il conflitto tra persone, in gruppi, o fra gruppi, è necessario esaminare
la totalità in cui questo si sviluppa, capire il sistema o i sistemi in cui sorge.
È necessario un approccio integrale.
Quello che si presenta come un conflitto fra due o più persone in un gruppo, motivato da
differenza di opinione o di carattere, potrà invece essere il risultato di importanti
mancanze strutturali nel gruppo, o di una cultura di gruppo che favorisce la
competizione tra le persone o incoraggia la circolazione di stereotipi e pregiudizi.
Esercizi
Conflitto Istruzioni per l’uso Domande
Che cosa conosco di me nel conflitto?
Che cosa mi hanno insegnato sul conflitto?
Quando vivo un conflitto, che cosa è importante per me?
La nostra cultura è basata sulla competizione, scontro, sull’incapacità