InformaNEURO AMACHE 3

NEURO AMACHE 3

LA TERZA PARTE :

University (NY-NY), guidato dagli italiani Lavarone e Lasorella, ha

scoperto che il 20% di questi tumori è caratterizzato da iperattività

dei mitocondri. Il loro sviluppo potrà quindi essere controllato

utilizzando farmaci inibitori.

Altri tumori sono: astrocitomi, oligodendrogliomi, meningiomi,

ependimomi, medulloblastomi (derivano dal cervelletto e sono

frequenti nei bambini), neurinomi del nervo acustico e trigemino,

linfomi primitivi del SNC, adenomi ipofisari ormonosecernenti

e non, ed infine tumori metastatici secondari a neoplasie del

polmone, della mammella, etc.

Fattori di rischio sono rappresentati dalle radiazioni gamma

e dalle radiazioni X (Linee guida AIOM, 2019). I segni ed i

sintomi dipendono dalle dimensioni del tumore, dalla sede di

origine, dal blocco della circolazione del liquido cerebro-spinale,

dalla formazione di edema cerebrale per accumulo di liquido

extracellulare. Quando aumenta la pressione endocranica compare

cefalea e vomito e possono manifestarsi disturbi della vista, dello

stato di coscienza, dell’ equilibrio, difficoltà alla deglutizione,

disturbi della sensibilità e motilità degli arti. Quando il tumore

interessa la corteccia cerebrale sono frequenti crisi epilettiche.

Malattie neurodegenerative

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progressivo che inizialmente compromette la comunicazione fra le cellule e poi

l’intera struttura cellulare fino alla morte neuronale. >,


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derivano variano a seconda delle aree colpite (vulnerabilità selettiva).

Quando sono colpite le cellule localizzate nella substantia nigra, che impiegano la

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È una malattia cronica dovuta alla degenerazione e distruzione delle cellule nervose

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comune di demenza (oltre il 50%) che esordisce prevalentemente in età pre-senile,

con prevalenza nella popolazione sopra 65 anni e nel sesso femminile. È associata

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ad atrofia cerebrale: la perdita di neuroni colinergici determina una riduzione dei

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tanto che è stata definita “killer dei pensieri”. Il sintomo più precoce e frequente è

la difficoltà nel ricordare eventi recenti. Si accompagna a demenza, disorientamento

temporo-spaziale, sintomi psicotici e del comportamento, cambiamento del tono

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eseguire le normali attività quotidiane. È strettamente associata a due tipi di lesioni:

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altamente fosforilata e mal ripiegata, all’interno ed all’esterno dei neuroni cerebrali

e delle cellule gliali che interferisce con le normali funzioni cellulari. È quindi

una Tauopatia (Tau è una proteina che stabilizza i microtubuli ovvero le proteine

intracellulari, denominate tubuline, che insieme ai microfilamenti costituiscono il

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guadagnato una notevole attenzione la disfunzione dei meccanismi di autofagia

cellulare che porta all’accumulo della proteina Tau ed a morte neuronale (,


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et al., 2019).

(L’ autofagia è un processo di degradazione cellulare e di eliminazione di organelli

danneggiati, aggregati proteici, etc., per il mantenimento della omeostasi cellulare).

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cerebrali hanno evidenziato la presenza di particolato ultrafine nel tessuto encefalico

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Ci si interroga se lo smog possa favorire l’insorgenza di questa tauopatia e di

altre malatttie neurodegenerative dal momento che le particelle sottili possono

raggiungere il cervello attraverso le terminazioni nervose del naso. I neuroni del

lobo temporale sono i primi a morire nel morbo di Alzheimer. Il 7 giugno 2021 la

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,,,,,,,,,,,,,) degli Stati Uniti ha approvato l’anticorpo

monoclonale aducanumab per il trattamento del morbo di Alzheimer. I pazienti

trattati con questo farmaco pare abbiano una significativa riduzione della placca

amiloide beta.

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È una malattia neurodegenerativa ad alta incidenza dovuta alla degenerazione

dei neuroni della substantia nigra che sono deputati alla produzione del

neurotrasmettitore dopamina. I neuroni dopaminergici sono i primi a morire nel

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bradicinesia (difficoltà nell’avvio e nell’arresto dei movimenti), disturbi dell’equilibrio,

andatura impacciata, sensazione di piedi incollati al pavimento, diminuzione della

forza muscolare fino alla immobilità totale. Caratteristica dell’ affezione è anche la

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comparire, anche anni prima dell’esordio della malattia, in circa il 70% dei casi e

scialorrea da rallentamento dell’attività dei muscoli coinvolti nella deglutizione.

Nelle fasi avanzate della malattia si verifica deficit cognitivo, depressione, confusione

mentale. Si ritiene che l’ accumulo anomalo della Sinapsina III (proteina che insieme

ad alfa-sinucleina regola il rilascio di dopamina nel cervello) sia responsabile del

danno cerebrale alla base della malattia, a cui concorrono fattori ambientali (pesticidi,

metalli pesanti, etc.) e genetici.

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È una malattia neurodegenerativa di tipo genetico che esordisce nella mezza età. È

caratterizzata da degenerazione dei neuroni del nucleo caudato e si manifesta con una

sintomatologia complessa con disturbi della sfera motoria (movimenti involontari,

rapidi e aritmici), psichica e cognitiva.

Sclerosi multipla

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Sclerosi laterale amiotrofica (SLA)

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(degenerazione dei motoneuroni) che provoca la perdita del controllo dei muscoli

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R. Benelli

Le neuroscienze affettive studiano i meccanismi cerebrali neurali

che si attivano nei processi emotivo-affettivi e motivazionali e li

regolano in condizioni fisiologiche e patologiche.

Le neuroscienze affettive rappresentano uno degli ambiti

delle scienze cognitive che studiano l’anatomia, lo sviluppo, la

maturazione del sistema nervoso ma anche le connessioni

esistenti tra le diverse aree cerebrali, il loro funzionamento ed i

comportamenti manifesti. Compito primario delle neuroscienze è

anche quello di mappare aree e funzioni del cervello per capire come

esse operano. Il neuroscienziato che più di ogni altro ha contribuito

agli studi delle basi cerebrali delle emozioni e dei sentimenti affettivi

è stato Jaak Panksepp (1943-2017). A lui si deve la fondamentale

opera “Archeologia della mente. Origini neuroevolutive delle

emozioni di base”. Panksepp ha coniato il termine “Affective

Neuroscience” ed ha aperto un’ area di studi sui meccanismi neurali

delle emozioni, i processi mentali di base, le funzioni cerebrali, i

comportamenti emotivi e la loro localizzazione. Le ricerche dello

studioso si basano prevalentemente sull’analisi del comportamento

e dei processi cerebrali negli animali. Panksepp ha concentrato le

sue ricerche sul “cervello antico”, sede dei comportamenti istintivi

che il neuroscienziato Paul Donald MacLean (1913-2007) aveva

indicato come “cervello rettiliano”. Questa struttura, posta tra il

midollo spinale ed i due emisferi cerebrali, è indicata da Panksepp

come l’area del core-Self (interiorità), perché in essa risiede il

nucleo istintuale ed archetipico della personalità individuale.

Le Neuroscienze affettive hanno la loro centralità nella

triangolazione cervello-mente-comportamento

Si deve a Platone l’intuizione dell’ esistenza di “un’ anima tripartita”,

che comprende cognizione, emozione e motivazione.

Solo con Paul Donald MacLean viene introdotta la teoria del

“cervello trino” e vengono studiati lo sviluppo dell’encefalo

ed i rapporti fra la parte razionale e quella irrazionale più

aggressiva. Secondo Hilgard (1980) le emozioni rappresentano

89

il secondo elemento della “trilogia della mente” e sarebbero coinvolte

in tutte le attività della mente (Dodge, 1991). È pertanto ritenuta

“artificiale” la distinzione tra cognizione ed emozione: mondo

cognitivo e mondo affettivo interagiscono in maniera rilevante tanto

che risulta difficile separarli. Occorre precisare che le cognizioni

sono collegate in modo più stretto con le aree superiori del cervello,

mentre emozioni e sentimenti sono legati ai sistemi ancestrali ed

ereditari del cervello antico. Il neurotrasmettitore dell’emotività è

la dopamina che è deputata al controllo del comportamento.

Neurocircuiti o sistemi emotivi che regolano i diversi aspetti della

vita

Secondo Panksepp sette principali neurocircuiti o “sistemi

emotivi” regolano i differenti aspetti della vita, tanto che dalla

loro disfunzione e inibizione originano le principali malattie

psicosomatiche e i disturbi psicologici.

I sette neurocircuiti, rinominati dallo studioso utilizzando una

nomenclatura maiuscola, sono:

1) il sistema della RICERCA, del desiderio e dell’euforia, legato

alla dopamina;

2) il sistema della RABBIA e della dominanza, legato al testosterone

e alla serotonina;

3) il sistema della PAURA e dell’ansia, legato al cortisolo;

4) il sistema della SESSUALITÀ e della brama, legato agli ormoni

sessuali;

5) il sistema della CURA e dell’amorevolezza, legato all’ossitocina;

6) il sistema della TRISTEZZA, del panico e della solitudine

affettiva, legati all’assenza di CURA;

7) il sistema del GIOCO, della fantasia e della gioia, legati alla

dopamina e alle endorfine.

Riassumendo i sistemi emotivo-affettivi primari individuati a

livello sottocorticale sono i seguenti: Ricerca (attesa), Rabbia

(collera), Paura (ansia), Desiderio Sessuale (eccitazione sessuale),

Cura (accudimento), Tristezza (panico/sofferenza), Gioco (gioia

sociale). Tali sistemi generano esperienze affettive distinte, che

90

possono sovrapporsi in varia misura. È questo il caso del sistema

della RICERCA (Seeking System). Esso partecipa alla maggior parte

degli altri sistemi, tutti controllati dagli stessi neurotrasmettitori

cerebrali: serotonina, norepinefrina e acetilcolina.

L’ esperienza emozionale come attivazione dei circuiti neurali

sottocorticali

Secondo la teoria neurofisiologica degli psicologi James e Lange

(1884), l’ esperienza emozionale soggettiva viene percepita alla

fine di un processo che si svolge a livello interiore. Secondo questa

prospettiva l’ esperienza emozionale è concepita come attivazione

dei circuiti sottocorticali, a loro volta origine dell’arousal (stato

di eccitazione) fisiologico viscerale, in grado di generare intense

esperienze affettive, da intendersi come la percezione o il vissuto

soggettivo dell’emozione. Panksepp sostiene che i circuiti

sottocorticali che presiedono ai diversi processi emotivi primari

danno luogo ad una vera e propria coscienza affettiva. Questo

pensiero innovativo è basato su solide evidenze sperimentali.

I processi affettivi primari, oggetto della sua ricerca, rappresentano

la condizione filogenetica e ontogenetica della nascita dei processi

secondari, legati all’apprendimento emotivo, e dei processi

terziari, connessi alla più evoluta capacità di riflettere sulla propria

esperienza emotiva. I processi primari sono, dunque, una sorta di

motore emotivo motivazionale di base, di repertorio filogenetico

di risposte e “categorizzazioni” valoriali degli oggetti ed eventi del

mondo sul cui fondamento viene costruita la mente “superiore”,

nelle sue componenti affettiva e cognitiva.

Per questo motivo, per renderci conto di cosa sia un’ emozione

come la paura, dobbiamo capire le relazioni che intercorrono tra

il sentimento cognitivo, mediato dalla corteccia cerebrale, e le

manifestazioni fisiologiche associate, che sono governate dalle

strutture sottocorticali. Da un punto di vista generale le tesi di

Panksepp introducono il tema della portata terapeutica della

psicoanalisi e della psicoterapia in relazione ai livelli emotivi della

persona. Il neuroscienziato concepisce le varie sindromi 91

psicopatologiche come squilibri emotivi da valutare caso per

caso e considera i termini “depressione”, “schizofrenia”, “autismo”

troppo generici, ovvero mere etichette nosografiche. L’intervento

psicoterapeutico, in questa prospettiva, riguarderebbe solo i “livelli

alti” della psiche, quelli delle emozioni più evolute, complesse e

“sociali”, legate ai processi secondari e terziari di apprendimento

e categorizzazione linguistico-cognitiva, come la vergogna, il

senso di colpa, la gelosia e l’invidia, senza possibilità di incidere

in maniera significativa sulle emozioni primarie, come l’ansia, la

rabbia o l’eccitazione sessuale. Nel caso specifico della depressione,

sarebbero principalmente coinvolti un’ iperattivazione del “sistema

della TRISTEZZA”, e una ridotta funzionalità dei “sistemi della

RICERCA e del GIOCO” con conseguente riduzione dell’entusiasmo

e dell’esuberanza. Ponendo la dimensione affettiva come centro

energetico ed organizzativo della psiche, Panksepp sostituisce il

“penso dunque sono” di Cartesio con “sento dunque sono”.

Il cervello emotivo

«Mi emozioni dunque penso», il cervello reagisce prima agli

stimoli sensoriali che alla ragione. Questa tesi è ormai sostenuta

da numerosi studi.

Parlare di cervello emotivo significa:

a) constatare che le emozioni provengono dal cervello;

b) interrogarsi su come il cervello percepisce stimoli emotivamente

eccitanti e ad essi risponde;

c) conoscere le modalità con cui avviene l’apprendimento e si

formano i ricordi emotivi;

d) conoscere le modalità con cui i nostri sentimenti coscienti

emergono dai processi inconsci.

Anche se ciascuno di noi, nel corso della vita, prova amore, odio,

rabbia, gioia e felicità, occorre domandarci cosa lega questi stati

mentali al groviglio che chiamiamo «emozioni».

Negli ultimi anni le emozioni sono diventate argomento continuo

di discussione. Enorme risonanza ha poi avuto la nozione di

intelligenza emotiva, con ripercussioni anche pratiche sulla vita e

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93

l’organizzazione scolastica e lavorativa. Tuttavia definire cosa è una

emozione e come è possibile indagarla rimane assai problematico.

Lo psicologo William James (1842-1910), nel 1884, in What is

an Emotion, descriveva le caratteristiche peculiari dei processi

emotivi e quindi delle emozioni come meccanismi che consentono

di attribuire un valore – positivo o negativo – all’informazione

sensoriale di cui si fa esperienza.

Il sistema emozionale pertanto elabora le informazioni utilizzando

regole e procedure profondamente diverse rispetto al sistema

cognitivo: regole che sembrano principalmente il risultato di

un processo evolutivo. Darwin, in “L’ espressione delle emozioni

nell’uomo e negli animali” (1872), sottolineava l’importanza delle

funzioni emotive ai fini della sopravvivenza: interpretare in

modo corretto le intenzioni di chi ci sta di fronte è certamente

indispensabile per poter sopravvivere. Il sistema emozionale, in

definitiva, può essere considerato a tutti gli effetti un sistema

adattivo. Alla stregua del sistema cognitivo esso prevede processi

di analisi dell’informazione, la sua elaborazione, l’ organizzazione

della risposta e la memorizzazione. A differenza del sistema

cognitivo il sistema emozionale è un sistema di emergenza:

necessita quindi di un’ analisi rapida, se pure grossolana, e di una

altrettanto rapida risposta, se pure stereotipata.

Secondo il neuroscienziato Joseph LeDoux, l’ emozione può essere

definita come il processo mentale attraverso il quale il cervello

determina o computa il valore di uno stimolo. Da questo processo

derivano:

a) reazioni corporee, con comparsa di manifestazioni interiori ed

esteriori;

b) la consapevolezza dell’importanza di quanto sta avvenendo

(sentimento);

c) l’ attivazione del sistema motivazionale che spinge all’azione.

Elaborazione neurofisiologica delle emozioni

Da un punto di vista neurofunzionale il monitoraggio ambientale

e l’elaborazione delle emozioni avvengono a livello dell’amigdala,

dove differenti strutture codificano le informazioni in entrata

che provengono dal talamo (cortocircuito talamo-amigdaloideo),

dalla corteccia sensoriale (via lenta corticale che valuta le

caratteristiche cognitive dello stimolo), dall’ippocampo (dati in

memoria esplicita), dal cingolo anteriore (arousal emotivo), dalla

corteccia frontale (interfaccia tra sistema emotivo e cognitivo).

Il risultato dell’elaborazione, oltre a produrre un feedback sulle

strutture di partenza, raggiunge da una parte l’ipotalamo e i nuclei

del tronco dell’encefalo dove sono organizzate le risposte emotive e

dall’altra il nucleo accumbens che funge da stazione di collegamento

con il sistema motivazionale.

Sistema emozionale come sistema adattivo

La concezione del sistema emozionale come sistema adattivo

ha modificato progressivamente l’idea di una inevitabile

contrapposizione tra emozione e ragione. Secondo il

neuroscienziato Paul D. MacLean (1973) il cervello umano è il

risultato della organizzazione gerarchica di tre differenti strutture,

ognuna formatasi in diverse epoche dell’evoluzione:

a) la prima (il cervello rettiliano), corrispondente alle strutture

poste alla base dell’encefalo, controlla il comportamento automatico

ed istintivo;

b) la seconda (il cervello paleomammifero), corrispondente alle

strutture identificate come sistema limbico, controlla l’espressione

delle emozioni, l’aggressività e il comportamento sessuale;

c) la terza e più evoluta (il cervello neomammifero) che corrisponde

alla neocorteccia presiede al pensiero razionale e alla capacità di

risoluzione dei problemi.

Implicita nel modello è l’idea che, date le profonde differenze di

organizzazione anatomo-funzionale, i tre cervelli non possono

comunicare tra loro in modo efficiente. Di conseguenza l’ essere

umano vive in un costante conflitto interiore, lacerato dalle

differenti esigenze dei tre livelli evolutivi. L’umanità sarebbe

pervasa da un’ innata frattura neuropsicologica tra razionalità e

irrazionalità. Secondo l’ elegante sistematizzazione di MacLean, il

sistema emozionale sarebbe quindi un residuo ancestrale che deve

94

essere tenuto sotto controllo dalla parte più evoluta, cognitiva,

del sistema nervoso centrale. Solo l’integrazione tra aspetti emotivi

e cognitivi sembra in grado di assicurare un comportamento

adeguato. Possiamo concludere con le parole del neurologo Antnio

Rosa Damásio: “l’ emozione e il sentimento sono indispensabili

alla razionalità; … le decisioni personali e sociali sono cariche di

incertezza; …quando siamo di fronte all’incertezza, emozione e

sentimento ci assistono nello scoraggiante compito di prevedere un

futuro incerto e di pianificare in sintonia le nostre azioni”.

Le Emozioni: meccanismi cerebrali

Non esiste ad oggi una definizione unanime del concetto di

emozione. Essa può essere considerata come uno stato affettivo

di intensità variabile che coinvolge il cervello, ma anche l’intero

organismo, e si accompagna a modificazioni fisiologiche e

comportamentali fino a sfociare talora in quadri patologici.

L’ essenza dell’ emozione è un’ esperienza soggettiva che coinvolge

la sfera personale e che è conosciuta soltanto dal soggetto che

la esprime. Molte attività della nostra vita sono regolate dalle

emozioni. Aree cerebrali deputate al controllo dei processi

emozionali sono: il sistema limbico del cervello emotivo, la

corteccia pre-frontale del cervello razionale, i neuroni specchio.

Le emozioni sono in grado di dare colore ai pensieri, alimentano

le relazioni sociali ed influenzano le decisioni. Ma quali sono i

meccanismi cerebrali alla base delle emozioni e dei sentimenti ? I

meccanismi sono riconducibili ad un complesso di strutture che

fanno capo al sistema limbico nel quale l’amigdala ha un ruolo

essenziale in quanto coinvolta nella elaborazione delle emozioni.

I sentimenti affettivi possono essere considerati oggi “funzioni del

cervello” legate al neurotrasmettitore dopamina. Essa è prodotta

dalle cellule nervose della cosiddetta substantia nigra che fa parte

dei gangli della base ed è legata al piacere, al comportamento, ai

meccanismi di ricompensa, o alle dipendenze ed al movimento.

Livelli alterati di dopamina si verificano in alcune malattie

neurodegenerative fra cui il morbo di Parkinson che è caratterizzato

da un’ alterazione delle cellule nervose della substantia nigra. 95

Intelligenza emotiva e intelligenza sociale

Le modalità con cui identifichiamo, comprendiamo, esprimiamo,

regoliamo le nostre emozioni, così come quelle degli altri individui,

definiscono l’intelligenza emotiva.

Possedere una ” buona” intelligenza emotiva riduce l’ entità delle

reazioni dell’ organismo allo stress ed ai comportamenti a rischio

(fumo, alcol, droghe) e permette di avere successo e di migliorare

anche lo stile di vita. Di conseguenza essa esercita un’ azione

protettiva nei confronti di malattie cardiovascolari, metaboliche e

tumorali, favorisce la longevità ed una vita più felice.

Un buon livello di intelligenza emotiva migliora la gestione del

dolore e degli eventi patologici, al contrario una scarsa intelligenza

emotiva è associata a depressione, attacchi di panico, stati di ansia

e fobie sociali. L’incapacità di empatizzare, ovvero di riconoscere le

emozioni altrui, può essere associata a disturbi della cognizione

sociale quali l’ autismo e la schizofrenia.

La capacità di riconoscere ed identificare le proprie emozioni e

quelle delle altre persone coinvolge diverse aree cerebrali. Alcune

di esse (rete della cognizione sociale) aiutano a riconoscere gli stati

mentali degli altri individui, altre (corteccia insulare) identificano

le nostre emozioni e altre ancora (corteccia prefrontale) svolgono

un’ azione regolatrice.

La rete della cognizione sociale è costituita da un insieme di

aree cerebrali quali la giunzione temporo-parietale, la corteccia

prefrontale, il solco temporale superiore, il giro para-ippocampale.

Questa rete neurale svolge un ruolo importante nell’intelligenza

emotiva. Nelle persone dotate di una “buona” intelligenza

emotiva le connessioni fra corteccia prefrontale e amigdala

presentano una maggiore integrità. In particolare la corteccia

prefrontale è in grado di modulare l’attività della rete e regolare le

emozioni. Se non si è in grado di identificare le proprie emozioni

risulta difficile reagire in modo adeguato alle difficoltà che si

incontrano nel corso della vita.

96

97

Recenti studi sull’intelligenza emotiva hanno appurato che essa

è in parte legata a fattori genetici. Sono stati identificati due geni

implicati nei disturbi della regolazione delle emozioni: il gene 5-HTT

è legato all’attivazione dei trasportatori della serotonina, mentre il

gene COMT è implicato nella degradazione della dopamina nella

corteccia frontale. L’ essere portatore di una variante genica può

rendere il soggetto più vulnerabile all’instaurarsi di un disturbo

emotivo, ma è necessario che il gene sia espresso.

È stato osservato come sia possibile migliorare l’intelligenza

emotiva in qualsiasi momento della vita sfruttando i meccanismi

della plasticità cerebrale. I programmi di miglioramento mirano

ad allenare la corteccia prefrontale ad acquisire la capacità di

regolare in modo più agevole gli stati d’animo. Essi comprendono

la partecipazione a conferenze, a programmi di ascolto attivo, in

cui la concentrazione personale è ottimale, o anche a gruppi di

discussione, giochi di ruolo, per imparare a riconoscere le proprie

e le altrui emozioni. I vari programmi di formazione possono avere

la durata di alcuni giorni: sono preceduti da test di intelligenza

emotiva e di misurazione del livello di benessere percepito e

vengono somministrati anche alla fine del percorso formativo.

Alla conclusione del corso i partecipanti possono presentare un

innalzamento dell’intelligenza emotiva che può mantenersi nel

tempo. La misurazione dei livelli di cortisolo effettuata prima e

dopo un programma di formazione può dimostrare la diminuzione

dei valori a cui corrisponde un relativo miglioramento dello stato

di felicità. Inoltre l’attività cerebrale nelle aree coinvolte nella

regolazione delle emozioni può essere ridotta a dimostrazione di

una maggiore efficienza dei neuroni in tali sedi (Berthoz e Bourdier.

Le scienze. Mind, 2017).

98

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«Arti visive» o «visuali» sono forme di attività creativa che hanno

come prodotto finale un oggetto visibile.

Critici e storici dell’arte, nella seconda metà del XX secolo, hanno

coniato il termine “Arti visive” sostituendolo alla più generica

espressione di arti figurative. Dal 1980 il termine è diventato

popolare perchè spiega meglio il concetto di arte contemporanea.

Sono quindi da considerare arti visive tutte le forme artistiche

che coinvolgono la percezione visiva quali la pittura, la scultura,

l’architettura e la fotografia, ma anche la grafica, la computer

art, la video art, la body art ed ancora la scrittura, la prosa, la

poesia. A decretare la pertinenza di un oggetto al campo dell’arte

sono numerosi e variabili contesti, come altrettanto numerosi

e variabili sono i criteri di validazione. Nessuna opera può mai

dirsi definitivamente consegnata alla storia dell’arte, perchè la sua

identità (in quanto opera), dipende dalle interpretazioni che ne

vengono date e anche dal contesto in cui viene intesa, come ebbe a

sottolineare il critico d’arte statunitense Arthur Danto (1924-2013).

Anatomofisiologia della visione:

l’ elaborazione delle informazioni visive

I segnali luminosi sono radiazioni elettromagnetiche di differente

lunghezza d’onda composte da singoli “quanti di energia” (fotoni).

Una volta penetrati nell’occhio attraversano la cornea, l’umor

acqueo, il cristallino e l’umor vitreo (Figura). In questo percorso

subiscono fenomeni di diffusione e rifrazione per poi convergere

sulla retina (parete posteriore dell’ occhio) dove i fotoni attivano

cellule nervose note come fotorecettori. Esse contengono pigmenti

fotosensibili denominati coni e bastoncelli.

Fotorecettori della retina: Coni e Bastoncelli

I fotorecettori sono cellule nervose localizzate sulla retina. Questi

elementi sono sensibili alle onde luminose e sono in grado di

trasformare i segnali luminosi che arrivano sul fondo dell’occhio in

informazioni, prima chimiche, poi elettriche (potenziale di azione)

che vengono trasmesse per trasduzione al cervello attraverso

il nervo ottico. I fotorecettori della retina sono distinti in coni e 99

100

bastoncelli. I bastoncelli sono i più numerosi (circa 100 milioni) e

sono presenti soprattutto nella parte periferica della retina; sono

molto più sensibili dei coni ed in grado di ricevere e codificare

impulsi anche con una intensità luminosa minore (luce crepuscola-

re). Sono deputati alla visione monocromatica.

I coni (circa 6 milioni) sono presenti nella parte centrale della retina.

Essi sono meno sensibili ma specifici per le diverse lunghezze d’onda

dei colori additivi: vi sono coni per il rosso, per il verde e per il

blu. Sono quindi deputati alla visione diurna ai colori. La maggiore

concentrazione dei coni si trova in un’ area circoscritta centrale della

retina (macula) leggermente depressa al centro (fovea) dove si ha

perciò la maggiore acutezza visiva. Tutti gli oggetti che esaminiamo

con attenzione vengono messi a fuoco nella fovea.

I fotorecettori contraggono sinapsi con altre cellule della retina,

da cui nascono le fibre che costituiscono il nervo ottico (II nervo

cranico). I nervi ottici dell’ occhio destro e sinistro si incrociano

a livello del tronco encefalico nel cosiddetto “chiasma ottico” in

cui parte delle fibre dell’uno si scambiano con quelle dell’altro. In

questo modo le informazioni provenienti da entrambi gli occhi,

attraverso una sequenza di segnali elettrici, giungono in entrambi

gli emisferi, nel nucleo genicolato laterale del talamo e da qui nella

corteccia visiva primaria localizzata nel lobo occipitale (area 17 di

Brodmann ). Esistono anche un certo numero di aree corticali con

funzioni specializzate ed accade che mentre i colori sono percepiti

da una certa area della corteccia visiva, i movimenti sono acquisiti

da una area diversa sempre della corteccia visiva. Una parte delle

fibre ottiche raggiunge il mesencefalo da cui parte la via ottica

riflessa, per i movimenti riflessi del muscolo ciliare, in risposta a

stimoli luminosi. In conclusione gli stimoli visivi una volta acquisiti

dai fotorecettori della retina, sono inviati alle aree cognitive del

cervello ed elaborati per produrre la visione finale. Lesioni della

retina, del nervo ottico o della corteccia possono provocare cecità;

quando si hanno lesioni della corteccia, si ha “cecità corticale”.


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permette il passaggio dei segnali luminosi.

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: è formata per la maggior parte da tessuto connettivo fibroso su cui si inseriscono i muscoli (in

numero di sei) che permettono il movimento del globo oculare.

▷ KZK/: è la membrana intermedia che contiene i vasi sanguigni. Insieme al corpo ciliare e all’iride

forma la tonaca vascolare dell’occhio (uvea).

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 è una sottile membrana formata da cellule più o meno ricche di pigmenti dalla cui intensità

dipende il colore degli occhi. Ha un foro centrale


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il cui diametro è regolato dai muscoli costrittore

e dilatatore dell’iride che rispondono in modo automatico all’intensità della luce.

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͗ è la membrana più interna formata da diversi strati di tessuto nervoso. Nello strato profondo

sono presenti i fotorecettori, cioé cellule nervose di due tipi diversi: bastoncelli e coni͘


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nervose in uscita dai fotorecettori confluiscono al centro della retina (vicino alla fovea che è il centro di

maggior acutezza visiva) a formare il


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scorie. Quando il suo drenaggio è rallentato o bloccato aumenta la pressione interna dell’occhio e si determina

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Con l’avanzare dell’età è frequente la ,,,,,,Ʃ, che consiste nella ·progressiva opacizzazione del cristallino che

è causa di visione annebbiata. Con il passare del tempo il cristallino si opacizza completamente diventando

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(Camera anteriore)

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(Camera posteriore)

Cristallino

strato

muscolare

102

Nell’uomo la vista è il senso più sviluppato e si calcola che più di

1/3 del cervello sia deputato alla visione. Infatti, oltre ad elaborare le

immagini in modo preciso ed a consentire la loro esatta collocazione

spaziale, nel processo sono anche coinvolti segnali forniti dagli

altri stimoli sensoriali ed è implicata la memoria per confrontare i

ricordi passati con le nuove immagini ricevute. L’immagine finale è

sottoposta ad un processo emozionale che può suscitare interesse o

lasciarci indifferenti. Il meccanismo attraverso il quale la corteccia

cerebrale è in grado di riunire tutte le informazioni sensoriali

(segnali elettrochimici visivi, uditivi, olfattivi, tattili), provenienti

da specifiche aree cerebrali, viene definito “binding problem”.

Geni e colori

I pigmenti dei coni che rispondono ai colori sono composti dal

retinale (aldeide derivata dalla vitamina A) e dalla proteina opsina.

Il gene per l’opsina del pigmento blu è situato sul cromosoma 7,

mentre i geni per le opsine dei pigmenti rosso e verde sono

localizzati sul cromosoma X. L’ alterazione o la perdita di questi

pigmenti comporta un mutamento nella visione dei colori (cecità

ai colori). Il gene per l’opsina del pigmento dei bastoncelli è posto

sul cromosoma 3. La mutazione di questo gene può determinare

cecità notturna e la grave retinite pigmentosa. Questa condizione

è caratterizzata dalla progressiva degenerazione dei bastoncelli e

della retina che portano a cecità. La percezione del colore negli

esseri umani è stata associata con l’attivazione di un’area occipitale

ventro-mediale. La localizzazione in quest’area è in accordo con

la collocazione delle lesioni associate ad acromatopsia ovvero la

incapacità di percepire qualsiasi colore. I soggetti affetti da questa

condizione hanno una visione monocromatica (in bianco e nero)

non essendo capaci di percepire i colori primari (rosso, verde, blu).

Esiste anche la possibilità di una visione bicromatica quando non

viene percepito uno dei tre colori primari. È il caso del ricercatore

britannico John Dalton, affetto da deuteranopia (insensibilità al

verde), che per primo descrisse questo disturbo visivo nel 1794,

che è stato perciò denominato Daltonismo.

Esso è associato ad una percezione anomala dei colori, la cui causa

più frequente è l’alterazione ereditaria dei fotorecettori – Dalton

aveva un fratello con lo stesso disturbo-.

Colori ed emozioni

Una delle caratteristiche che più colpiscono l’ attenzione nel

momento in cui ci poniamo davanti ad un’ opera d’arte è

sicuramente “il colore”. Esso ha una sua espressività ed è in grado

di determinare reazioni psicologiche nell’ osservatore che tende

ad associare i vari colori a determinati stati d’animo e sensazioni.

Il giallo, ad esempio, viene istintivamente associato alla luce del

sole, mentre il bianco e il nero rappresentano rispettivamen-

te la luce e le tenebre. Il blu è il colore del cielo e delle acque e

trasmette un senso di pace e di elevazione spirituale, mentre il

verde (colore della vegetazione), suscita nell’ osservatore una

sensazione di serenità. Usiamo spesso il linguaggio dei colori per

descrivere le nostre emozioni, dicendo che siamo “rossi” dalla

rabbia o “verdi” dall’invidia. Nel diciannovesimo secolo con

l’ Espressionismo si passa dal concetto di pittura tesa al piacere

estetico a quello di interiorità ed alla profondità dell’animo umano.

Per Van Gogh, il giallo rappresentava il colore dell’amicizia e

della gioia di vivere. Il periodo “blu” di Picasso non è solo un

periodo della sua produzione artistica ma è espressione di uno

stato depressivo vissuto dal pittore dopo la perdita del caro

amico Carlos Casagemas. Nel corso del Novecento la pittura

astratta ha ulteriormente esaltato la capacità dei colori di

suscitare emozioni. Kandinskij (1866-1944) fu il primo artista

non figurativo che cercò di associare ad ogni colore e forma una

sensazione diversa. La percezione del colore è anche in grado

di influenzare le funzioni dell’ organismo (ritmo respiratorio,

frequenza cardiaca) e il benessere psicofisico (La forza delle

immagini, 2009). Sulla base di queste osservazioni è nata la

cromoterapia, che ha modificato il modo di usare il colore nella

architettura delle strutture sanitarie, delle scuole e degli edifici

pubblici, per un impatto visivo coinvolgente e rasserenante. 103

Funzione simbolica del colore ed elaborazione delle emozioni

Al colore è assegnata una funzione simbolica che dipende dal

contesto sociale e culturale di ogni persona. Così mentre il bianco

in Occidente simboleggia la purezza ed è perciò usato per gli abiti

nuziali delle spose, in India è il colore della vedovanza mentre nelle

cerimonie nuziali viene utilizzato il rosso. Nell’ antichità il colore

degli abiti ha contribuito all’identificazione degli individui da un

punto di vista sociale, religioso e politico. Ogni colore ha per gli

esseri umani determinate caratteristiche che possono variare da

persona a persona e possono essere influenzate dall’umore. Ogni

singolo colore può quindi suscitare differenti emozioni in persone

diverse o anche nella stessa persona in momenti diversi della vita.

L’ ippocampo, insieme all’amigdala, ad altre strutture sottocorticali

ed alla circonvoluzione del cingolo, che fanno parte del sistema

limbico, giocano un ruolo importante nell’ elaborazione delle

emozioni. L’ippocampo è coinvolto nel recupero delle informazioni

di recente acquisizione ed è importante per il ricordo esplicito,

ovvero cosciente, di eventi emozionali. L’ amigdala è rilevante per

la memoria emotiva implicita e quindi non cosciente.

L’ esperienza estetica

Perchè siamo attratti dalle più disparate arti visive? Cosa proviamo

davanti ad un’ opera d’arte? Cosa succede al cervello quando

è esposto ad un’ esperienza estetica? Robert Vischer nel 1873 in

un sintetico libretto intitolato “On the optical sense of form: a

contribution to aesthetics” pone l’accento sulla relazione tra empatia

ed arte visiva. Quando veniamo a contatto con un’ opera d’arte

ci immergiamo in essa e nella sua visione: le caratteristiche che

ne emergono sono tali da suscitare sentimenti empatici nello

osservatore. L’ opera d’arte diventa lo strumento attraverso il quale

non solo entriamo in contatto con oggetti, forme, colori, ma anche

con l’artista che ha realizzato l’opera e con il suo mondo interiore.

L’ esperienza estetica diventa quindi oltre che incontro anche

esperienza interpersonale ed implica l’attivazione non solo del

sistema visivo ma anche della parte emozionale. Partecipiamo alla

104

105

visione di un’ opera d’arte con tutti i sensi e con il corpo (sinestesia).

È l’insula, l’area profonda del cervello che fa da ponte tra il nostro

provare un’ emozione, con i segnali fisiologici che il corpo ci invia

(frequenza cardiaca, atti respiratori, etc.) e ciò che sta accadendo

nel mondo esterno. La capacità del cervello di comprendere le

intenzioni e le emozioni dell’ artista viene definita “simulazione

incarnata” (Gallese e Guerra, 2015).

La sindrome di Stendhal

È una sindrome di breve durata caratterizzata da tachicardia,

capogiri, vertigini, confusione mentale ed allucinazioni che

esordiscono in modo acuto, improvviso, in soggetti che vengono a

contatto con opere d’ arte di particolare bellezza. Il soggetto

entra in una sorta di estasi contemplativa e vive una situazione

emotiva coinvolgente. Il nome della sindrome deriva dal fatto che

lo scrittore francese Stendhal, pseudonimo di Marie-Henri Beyyle

(1783-1842), ne fu personalmente colpito in un viaggio a Firenze.

Per questo motivo la sindrome viene anche denominata “sindrome

di Firenze”. Questo disturbo psicosomatico fu descritto nel 1977

dalla psichiatra fiorentina Graziella Magherini: la studiosa riportò

la caratteristica sintomatologia in turisti stranieri in visita ai musei

fiorentini. La sindrome colpisce per lo più soggetti di sesso maschile

fra i 25 ed i 40 anni, con un buon livello di istruzione, quando

vengono a contatto con una opera d’arte che richiama alla mente

vissuti personali di particolare significato emozionale. Lo studioso

Semir Zeki ha provato ad elaborare una teoria sulle reazioni

cerebrali e neuronali che si innescano davanti alla visione di una

opera d’arte. È possibile che nell’ esordio della sintomatologia

sia coinvolto il meccanismo neurale dei “neuroni specchio”: in

presenza di una opera d’arte arrivano al cervello numerosi input

che, attraverso un meccanismo definito “simulazione incarnata”,

possono generare nell’ osservatore, in modo inconsapevole, gli

stati d’animo che l’autore dell’ opera ha voluto trasmettere. In

alcuni soggetti queste sensazioni sono così forti da far scatenare la

sindrome.

106

R. Benelli


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L’ arte è una esperienza completa, percettiva, emotiva e personale

che agisce su più livelli: stimola le sensazioni, le emozioni ma anche

la motricità. Ciò accade, ad esempio, quando si disegna o si

modella l’argilla. L’arte è in grado di ristabilire l’autostima che

deriva dall’ aver prodotto qualcosa di bello, aiuta a ridurre l’ansia

e a migliorare l’umore. Inoltre favorisce l’apertura verso gli altri

quando è esercitata con persone. Molti degli effetti favorevoli si

osservano nei bambini e negli adolescenti.

Laboratori dedicati alle arti figurative comprendono: disegni e

pittura astratti, collage, modellazione (modelli in argilla, scultura),

fotografia, spesso associati all’ ascolto di brani musicali, esperienze

teatrali, danza. In genere sedute di un’ ora, due volte a settimana,

possono produrre effetti benefici.

Anche semplici sedute di arteterapia in cui si disegna e si colora

sono utili in quanto sono in grado di ridurre lo stress. Uno studio

pilota di Girja Kaimal et al. (2016), studiosa di arteterapia alla Drexel

University di Filadelfia, ha dimostrato che una seduta di collage,

modellazione, o disegno della durata di 45 minuti è in grado di

ridurre la concentrazione di cortisolo (ormone dello stress) nella

saliva di soggetti adulti sani.

Arteterapia: condizioni suscettibili di miglioramento

Le condizioni che possono essere suscettibili di miglioramento

con sedute di arteterapia sono rappresentate da:

-disturbi cognitivi;

-disturbi mnemonici con difficoltà a memorizzare eventi recenti;

-handicap motori e disturbi del comportamento (soprattutto nei

bambini e negli adolescenti);

-condizioni caratterizzate da bassa autostima, ansia, depressione,

stress;

-malattie neurodegenerative quali il morbo di Alzheimer;

-malattie neurovascolari (pregresso ictus)

-postumi di traumi cranici.

Percorsi di Arteterapia possono determinare un miglioramento

dello stato cognitivo, emotivo, dell’umore e delle condizioni fisiche. 107

Arteterapia nelle malattie neurodegenerative

Nei pazienti con malattie neurodegenerative si verifica spesso uno

stato di apatia e disturbi dell’umore. L’incapacità di esprimere le

proprie emozioni attraverso la parola aggrava il senso di

frustrazione di questi malati, che le pratiche del disegno e della

pittura permettono di esternare assicurando, in tal modo, momenti

di benessere. Inoltre la possibilità di esporre pubblicamente le

opere realizzate, permette di ricreare un legame con il mondo

esterno evitando la chiusura ed il ripiegamento su se stessi di questi

soggetti.

Arteterapia nei pazienti oncologici

La sensazione di piacere provata durante le sedute artistiche

appare la condizione primaria dei benefici apportati

dall’ arteterapia. Essa permette di superare, anche se

temporaneamente, la sofferenza psicofisica derivata dalla

neoplasia. Inoltre le attivita artistiche attivano il circuito della

ricompensa nel sistema nervoso centrale e possono indurre il

rilascio di endorfine e quindi di antidolorifici naturali.

L’ arteterapia determina anche un aumento dell’autostima con

diminuzione dell’ansia. Ciò accade soprattutto quando il paziente

riesce a riprodurre una tecnica o a produrre qualcosa di bello e

focalizza la sua attenzione sull’ opera eseguita che è in grado di

stimolare sensazioni piacevoli e positive.

108

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“Ciò che non si può dire

e ciò che non si può tacere,

la musica lo esprime”

Victor Hugo

Gli effetti che la musica produce sulla nostra psiche e sul nostro

organismo sono ancora poco conosciuti. Risulta quindi importante

tentare di capire come essa possa influenzare la mente, l’umore,

le emozioni, l’animo umano ed incidere sul benessere personale,

abbandonando tuttavia ogni tentativo di razionalizzare il

fenomeno.

“La musica può donare delle ali ai vostri pensieri e illuminare la vostra

anima di una luce eterna” (Platone) (da: Montinaro, 2019).

Il primo contatto con la musica cantata o suonata, qualora inizi

in età molto giovane, quando la plasticità cerebrale è più intensa,

è in grado di modificare la struttura e l’attività di aree cerebrali

che sono coinvolte nell’acquisizione ed elaborazione degli stimoli

sonori. Un costante training musicale è in grado di indurre, sia

nel cervello in via di sviluppo sia in quello degli adulti, un processo

di natura analogica che favorisce la plasticità cerebrale. In questo

la musica si distingue dall’esercizio della parola, della scrittura o

delle immagini visive che necessitano di un processo analitico e di

scomposizione degli stimoli: la musica, no!

Percezione acustica, ricezione musicale e localizzazione cerebrale

delle funzioni musicali

La percezione acustica si manifesta grazie ai suoni generati dalle

vibrazioni prodotte dal mondo che ci circonda. Le onde sonore

vengono convogliate dall’orecchio esterno all’ orecchio medio il cui

confine è rappresentato dalla membrana del timpano. Essa entra in

vibrazione in risposta ai suoni. L’ orecchio medio è costituito da tre

ossicini (martello, incudine e staffa) che amplificano la pressione

dei suoni e li trasmettono nell’ orecchio interno alla coclea. Questa

struttura, fatta a spirale, è suddivisa in tre canali paralleli separati

da membrane ed è riempita da un liquido acquoso che si muove

al passaggio delle onde sonore. Nella coclea è contenuto l’organo

di Corti. Esso si estende sulla parete superiore della membrana

basilare che è formata da neuroni specializzati (cellule ciliari):

essi vengono attivati dalla pressione dei suoni (segnali meccanici)

e producono segnali nervosi (biolettrici). Nella membrana basilare

vi sono poi i dendriti delle fibre del nervo uditivo e cellule di

supporto. La coclea svolge la funzione fondamentale di analisi del

suono in frequenza. I suoni ad alta frequenza sono percepiti dalle

cellule poste alla sua base mentre i suoni a bassa frequenza attivano

le cellule poste al suo apice. I segnali nervosi (bioelettrici) vengono

trasmessi dalla coclea al tronco encefalico mediante il nervo

acustico (VIII nervo cranico) e passano alle stazioni subcorticali.

La corteccia uditiva primaria è localizzata nei lobi temporali del

cervello. Le aree primarie e secondarie sono connesse con quasi

tutto l’ encefalo ed ogni emisfero cerebrale è collegato in modo

preferenziale con l’orecchio controlaterale. Le moderne tecniche di

neuroimmagine fanno supporre l’esistenza di percorsi separati per

l’analisi della musica e del linguaggio. Da quanto detto risulta che la

ricezione musicale si articola in tre distinti livelli: a) ricezione dello

stimolo uditivo; b) analisi strutturale delle componenti elementari

dei suoni (altezza, intensità, ritmo, durata e timbro) e della parte

elaborata del brano musicale (tema, tempo); c) identificazione

111

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di ciò che si ascolta. La corteccia pre-frontale mediale rappresenta

il centro in cui sono sono integrati i ricordi autobiografici ed, in

particolare, sono immagazzinati i brani musicali risalenti al passato

(Montinaro, 2019).

L’ orecchio assoluto

L’ orecchio assoluto è la capacità di un individuo di identificare

l’altezza di una nota senza l’aiuto di un suono di riferimento quale

quello generato dal diapason. È questo lo strumento regolato a

432 Hz su cui si accordano i musicisti prima di iniziare a suonare.

Per lo sviluppo dell’orecchio assoluto, più frequente nei musicisti,

sembra necessario un training musicale iniziato in giovane età e la

predisposizione genetica (Montinaro, 2017).

Effetti della musica sul cervello umano

Quando ascoltiamo un brano musicale si attivano i due emisferi

cerebrali: il sinistro (la parte più razionale), si concentra sul

linguaggio, mentre il destro (la parte più creativa e istintiva) sulla

parte musicale e si creano interconnessioni fra i due emisferi. La

musica è in grado di stimolare il rilascio di neurotrasmettitori

quali la dopamina, la serotonina e la norepinefrina. Gli stimoli

sonori attivano il sistema limbico e le emozioni suscitate da un

brano musicale producono effetti simili a quelli indotti da una

sostanza psicoattiva. La dopamina agisce sul piacere, sulla capacità

di attenzione e di apprendimento, interviene sul movimento e sui

meccanismi del sonno. Gli effetti prodotti non riguardano solo

le emozioni ma sono in grado di influenzare anche il sistema

cardiovascolare, la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e la

attività respiratoria. Soprattutto la musica classica è in grado di

attivare il sistema nervoso parasimpatico. Il rilascio di dopamina

risulta comunque maggiore quando si ascolta il genere musicale

preferito. Viene favorito anche il rilascio di endorfine responsabili

di uno stato di calma e benessere. Quando la musica è associata

ad immagini video risulta una maggiore attivazione dell’amigdala

(centro delle emozioni). Nei momenti di massimo piacere prevale

l’ attivazione delle cellule del nucleo accumbens.

Musica ed autostima

La musica ha un forte impatto sull’autostima, veicola emozioni,

per questo motivo è legata al mondo emotivo. Essa invia messaggi

positivi che possono influenzare e migliorare l’umore e contribuire

ad una visione ottimista della vita. Le funzioni a cui l’ascolto della

musica assolve sono di tre tipi: a) contenitiva: quando ascoltiamo

un brano musicale che conosciamo vengono rievocati vissuti

anche molto lontani nel tempo; b) rievocativa: il brano musicale

stimola ricordi che sono associati ad un precedente ascolto; c)

evasiva: la musica è in grado di astrarci da ciò che ci circonda e

ci permette di “sognare ad occhi aperti”. È questa la funzione più

conosciuta. Queste funzioni sottendono uno dei ruoli principali

della musica che è quello di suscitare emozioni che possono

manifestarsi già con le prime note di un brano musicale. È sempre

il sistema limbico con la sua parte più profonda “l’ amigdala”,

sentinella delle emozioni, a produrre una reazione agli stimoli

sonori che ci raggiungono.

Il cervello è in grado di catalogare la musica

Il cervello cataloga la musica in base a due elementi principali: il

ritmo e le note. Il ritmo è ripartito in battute che si ripetono un

determinato numero di volte in un dato tempo. Considerando che

la frequenza cardiaca normale varia tra 60 ed 80 battiti al minuto,

ne consegue che un tempo con un ritmo inferiore avrà un effetto

rilassante, mentre al di sopra attivante fino a diventare eccitante

come accade per la “electronic dance music”. È questa la musica da

discoteca che stimola anche i movimenti del corpo.

Musica ed Emozioni.

Una ricerca condotta dall’Università di Berkeley (California – USA)

ha mappato le risposte emotive di oltre 2.500 persone, di nazionalità

americana e cinese di età e cultura diverse, all’ascolto di migliaia di

canzoni dei generi più disparati: rock, folk, jazz, musica classica,

commerciale, sperimentale, fino all’heavy metal. L’ esperienza

dell’ascolto dei diversi generi musicali è stata in grado di suscitare

tredici differenti stati emozionali. Dallo studio è emerso che 113

tutte le persone che hanno partecipato all’esperimento, anche se di

cultura diversa, si sono trovate d’accordo nell’identificare emozioni

simili (energia, gioia, rilassamento, oppure fastidio, ansia, paura,

etc.), quando rimanevano all’ascolto dello stesso brano musicale.

I risultati di questo studio hanno permesso di allestire una playlist

di brani musicali di genere diverso che elicitano determinate

emozioni da impiegare nelle condizioni psicofisiche più disparate.

Un “confermative experiment” ha escluso possibili influenze

culturali sulle risposte emotive (Balestrieri, 2021).

Gli elementi della comunicazione musicale emotiva

Tre sono gli elementi della comunicazione musicale emotiva:

il compositore, l’ esecutore e l’ ascoltatore. Il compositore trasferisce

le proprie emozioni nei brani musicali frutto della sua arte.

L’ esecutore veicola il messaggio musicale all’ascoltatore,

riproducendolo fedelmente o interpretandolo in base alla sua

esperienza e sensibilità. Alcuni soggetti esprimono meglio le

proprie emozioni e tutta la gamma dei sentimenti e dell’ esperienza

umana attraverso la musica più che con simboli verbali. Attraverso

un sistema di “neuroni specchio” gli ascoltatori sono in grado

di percepire le emozioni che vengono trasmesse durante una

esecuzione musicale.

Musica e differenze culturali

Differenze culturali e tipo di musica hanno rilevanza sulle emozioni

suscitate da un brano musicale. Se è indubbio il valore universale

della musica, il nostro rapporto con essa è influenzato dai gusti

personali, dalla rappresentazione che abbiamo del mondo e dalla

nostra personalità e cultura. Le musiche che preferiamo sono il

mezzo attraverso il quale possiamo manifestare qualcosa di noi,

della nostra vita, delle esperienze vissute e del contesto sociale

in cui viviamo. Musicologia e psicologia si sono interessante ai

meccanismi che vengono coinvolti nello sviluppo delle preferenze

musicali personali. Da uno studio pubblicato dall’Università di

Cambridge si evince come fattori caratteriali e psicologici sono

in grado di influenzare le scelte musicali. Gli stili di pensiero delle

114

115

persone che hanno partecipato allo studio sono stati suddivisi in

tre categorie: a) empatici: soggetti che riescono a comprendere

gli stati emotivi altrui e reagiscono con la giusta emozione; b)

sistematici: soggetti che hanno comportamenti razionali e si

interessano ai modelli, alle regole ed ai sistemi che governano

il mondo; c) equilibrati: soggetti che occupano una posizione

intermedia fra le due precedenti categorie. Dallo studio emerge

che personalità con tratti empatici preferiscono generi melodiosi,

malinconici e con un’ emotività profonda. Nella categoria dei

sistematici rientrano persone che prediligono un genere musicale

più intenso e complesso (hard rock, punk, heavy metal). Gli

equilibrati infine preferiscono la musica più varia. Da un ulteriore

studio degli stessi autori, che correla gusti musicali e personalità, è

emerso che persone con una maggiore apertura mentale, creativi

e disponibili alle novità, danno la preferenza alla musica jazz e

alla musica classica. Le persone estroverse preferiscono ascoltare

musica popolare. Ed ancora i romantici ed i soggetti che cercano

momenti di relax prediligono la musica pop-rock, soul e R&B.

Infine la musica punk, heavy metal, rock è preferita dai soggetti che

assumono un atteggiamento di sfida nei confronti dell’ambiente in

cui vivono che spesso ritengono ostile (Balestrieri, 2021).

Musica nelle differenti età della vita

La musica accompagna tutta la nostra vita caratterizzando i

momenti più importanti e si associa ai fugaci ricordi ed alle

emozioni che ci legano ad essi. Il “linguaggio emozionale” ha

un valore universale e non sottostà a regole razionali. Anche se

i primi anni di vita sono i più importanti per l’acquisizione del

linguaggio musicale è però l’ adolescenza il periodo della vita in

cui si costruisce la personalità in modo stabile e le esperienze

vissute diventano memorie rilevanti. I collegamenti neurali che

si formano determinano una traccia mnemonica che si carica di

emozioni amplificate grazie all’effetto esercitato dall’ormone della

crescita. I brani musicali preferiti stimolano le aree del cervello

che regolano il piacere e rilasciano dopamina. Comporre musica,

suonare uno strumento, cantare, ascoltare sono tutte attività che

pur influenzando l’ organismo in modi diversi, allenano il cervello

migliorando le funzioni cognitive, comunicative e la positività:

“Ascoltare, ma soprattutto, fare musica, è l’attività perfetta per i

più piccoli” (Montinaro A., 2019). La musica aiuta a rilassarci, ad

astrarci da ciò che ci circonda, ad abbassare il livello di guardia

e offre l’ occasione di fermarci a riflettere. Inoltre la musica è

socialità e convivialità. La musica strumentale può essere utile agli

studenti quando usata come sottofondo per ridurre l’ansia e favorire

la concentrazione. L’ ascolto della musica con il passare degli anni

dà luogo ad una risposta di tipo estetico ed una risposta emotiva.

Anche se la musica preferita può essere quella capace di indurre

un forte impatto emotivo, esiste anche la possibilità che venga

preferita per ciò che essa rappresenta nella memoria personale ed

autobiografica. Nei soggetti anziani la musica aiuta a riempire il

vuoto esistenziale, riduce lo stress, aumenta il rilassamento, valorizza

la memoria, favorisce la meditazione, incoraggia o fa da supporto

all’esercizio fisico. Nei soggetti con malattie neurodegenerative può

esercitare un effetto terapeutico. La pratica musicale, come hobby

o sotto forma di musicoterapia, costituisce uno strumento idoneo

a rinforzare la cosiddetta “riserva cognitiva”, ovvero quel bagaglio

di funzione cerebrale che in età senile contrasta lo sviluppo della

demenza (Proverbio, 2019). Gli attuali mezzi multimediali oggi

a disposizione, quali “Alexa”, consentono di accedere a playlist

di musiche di qualsiasi genere con un semplice comando vocale.

I nuovi media ed i sistemi esperti del futuro riusciranno sempre

più ad interfacciarsi con la persona ed a creare mix di musica e

di immagini familiari e/o rilassanti che rievocano o inducono

momenti di felicità per il benessere psichico e fisico.

Musica classica e/o meditativa e musica ritmata

La musica classica e meditativa aiuta a ridurre lo stress e il dolore

mentre la musica ritmata è in grado di migliorare l’umore e le

motivazioni. La musica di Mozart, in particolare, racchiude in sÈ

tutti gli stati d’animo che un essere umano è in grado di provare.

116

117

Per questo motivo può essere considerata unica e universale

come sostiene il neuropsicologo e musicista francese E. Bernard

Lechevalier nel suo libro “Le cerveau de Mozart” (2003). Nel 1991

l’ otorinolaringoiatra francese Alfred Tomatis (1920-2001), noto

studioso di audiologia, nel suo libro “Pourquoi Mozart?” sostiene

che “Mozart è un’ ottima madre, provoca il maggior effetto curativo

sul corpo umano”. È questo l’effetto Mozart! “La sua è una musica

pensata e scritta per tutti, che possa essere compresa e amata da

chiunque abbia conservato la capacità di ascoltare, non solo di udire”

come riporta il neurochirurgo Antonio Montinaro. Ed ancora:

“I suoi pentagrammi sono diventati la chiave universale per

accedere agevolmente nei meandri della mente umana e attingere

ai poteri curativi della musica”. Un elemento importante della

musica di Mozart è l’impiego dell’accordatura a 432 Hz che può

esercitare attività terapeutica in quanto sintonizzata con le

frequenze fondamentali del corpo umano (frequenza cardiaca,

sincronizzazione cerebrale, replicazione del DNA). L’ ascolto di

un concerto di Mozart incrementa la produzione di dopamina,

favorisce l’apprendimento e la memoria (Montinaro, 2019).

La Musica religiosa: il canto Gregoriano

L’impiego della musica in ambito religioso rappresenta un mezzo

di spiritualità e di meditazione che permette all’uomo di elevarsi al

trascendente. Il canto Gregoriano è un esempio di canto liturgico

monodico, e quindi ad una sola voce, della tradizione religiosa

benedettina. Esso esorta a concentrarsi ed a cantare con ardore la

lode a Dio che non può essere espressa in maniera adeguata con le

sole parole e diviene fonte inesauribile di appagamento spirituale.

Il canto gregoriano viene normalmente cantato a cappella da un

coro di voci bianche o da un solista chiamato ‘cantore’ e quindi

senza accompagnamento strumentale. È un canto che utilizzando

un ritmo simile a quello del respiro favorisce il rilassamento, la

meditazione, la interiorizzazione e l’energia spirituale ed ha effetti

caratterizzati da rallentamento della frequenza cardiaca e della

frequenza del respiro.

118

La Musica come mezzo per migliorare le prestazioni fisiche e

l’ attività lavorativa

La musica rappresenta un utile strumento per migliorare le

proprie prestazioni fisiche e lavorative e mantenere alti i livelli

di energia e concentrazione. Il cardiologo Waseem Shami della

Texas Tech University, ad esempio, ha dimostrato che ascoltare

musica durante un allenamento sportivo consente di migliorare

le proprie prestazioni. Questo accade perchè concentrarsi su un

brano musicale riduce la sensazione di fatica ed i passi tendono

ad armonizzarsi con il ritmo della musica.

La musica esercita effetti favorevoli anche quando è utilizzata

sul lavoro potendo aumentare il benessere dei lavoratori e la

produttività. Nella professione sanitaria è interessante osservare

come la musica coinvolge sia gli operatori sanitari che i pazienti.

In sala operatoria, ad esempio, è provato come la musica

favorisca l’ esecuzione tecnica di un intervento chirurgico o

endoscopico in quanto aumenta la concentrazione e l’attenzione

degli operatori: le procedure diventano più veloci e precise e si

riducono le possibilità di errori soprattutto quando le manovre

sono ripetitive o particolarmente complesse. Il paziente invece

riferisce di sentirsi più a suo agio e di trovarsi in un ambiente più

familiare; manifesta una riduzione dell’ansia e del dolore, una

riduzione dello stress che può richiedere una dose inferiore di

sedativi ed anestetici quando l’intervento è eseguito in anestesia

locale. Per la selezione dei brani da utilizzare in sala operatoria,

pur rispecchiando le preferenze degli operatori, la scelta ricade

frequentemente su brani di musica del ‘700 (Vivaldi, Bach,

Mozart, etc.) e sempre su musica suonata, ma non cantata. Questa

è anche l’esperienza maturata nell’U.O. di Urologia dell’Ospedale

di Prato dal 1997 al 2007, dimostrando la possibilità di eseguire

interventi endoscopici quali il trattamento laser della iperplasia

prostatica benigna in anestesia locale in soggetti anziani con

rischio anestesiologico.

PRATO. Nel reparto di Urologia dell’ospedale di Prato, il dottor Roberto Benelli è l’unico

chirurgo italiano che taglia e cuce la prostata “in eccesso”, con la “sua” musica come sottofondo

in sala operatoria. E così, invece che emigrare all’estero per farsi operare, a Prato arrivano

anche da fuori regione, magari con la scusa della musica, ma in realtà perché possono tornare

a casa il giorno dopo. Dal primo di gennaio sono già una novantina i pazienti di ipertrofia

prostatica benigna, che hanno avuto modo di ascoltare la musica “d’ ambiente”, scritta e incisa

da Roberto Benelli, la stessa persona che, indossando il camice in camera operatoria, eliminava

con il laser, ultimo modello, la patologia ostruttiva causa di tanta sofferenza.

«La musica non mi distrae assolutamente, anzi riesce a coinvolgermi al meglio per arrivare

alla massima concentrazione» spiega il dottor Benelli, 61 anni pratese doc, direttore dell’UO di

Urologia di Prato. Riccardo Tempestini – 02 agosto 2006.

Ascoltare e/o comporre musica nelle esperienze della vita

In presenza di esperienze negative le persone sono motivate

ad ascoltare musica triste, al fine di superare l’evento o per

incanalare le proprie emozioni. Da uno studio recente emerge

che la musica esercita una funzione auto-regolatoria (Van den Tol

Edwards, 2011). La scelta di un brano triste in momenti tristi, può

rappresentare una valida strategia di coping con cui le persone

reagiscono a situazioni avverse, eventi spiacevoli o stressanti.

L’ ascolto di un brano musicale triste può favorire l’accettazione,

favorire una richiesta di aiuto, o avere una funzione empatizzante,

in particolare per gli adolescenti, i quali utilizzano spesso la

musica preferita per migliorare il proprio umore.

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“Il chirurgo-compositore”

Numerosi studi hanno messo in luce una correlazione positiva

tra l’ascolto di musica triste e l’aumento del tono dell’umore. Dopo

un evento negativo è possibile ricorrere a brani musicali con alto

valore estetico allo scopo di migliorare lo stato emotivo. La musica

assumerebbe una funzione “catartica”, come se le persone volessero

vivere in maniera ancora più profonda la loro tristezza, per poi

sentirsi sollevati e “riemergere” da uno stato d’animo negativo.

Brani musicali sono spesso composti in momenti di gioia e felicità,

di turbamento, di ansia, di stress, di tristezza e malinconia, o

addirittura di dolore profondo. Nel primo caso rappresentano la

esteriorizzazione della gioia interiore che si prova al superamento

di una prova importante o anche al primo incontro con la persona

amata. Nel secondo caso permettono di superare stati di intensa

commozione che si manifestano in particolari momenti della

vita. Un esempio è offerto dall’esperienza di una grande perdita

quale quella della madre dopo mesi di sofferenza per una malattia

inguaribile. Esprimere in musica le parole pronunciate con gli ultimi

respiri della persona cara sono di grande conforto e mantengono

viva la presenza materna. In conclusione ascoltare e/o comporre

musica assume un vero e proprio valore terapeutico e rappresenta

un valido strumento di sostegno per coloro che vivono esperienze

emotivamente negative.

La Musica come presidio terapeutico

Nell’ambito delle neuroscienze la musica svolge un ruolo utile

come presidio terapeutico. Già Peter Lichtenthal, medico austriaco

compositore e arrangiatore musicale, agli inizi dell’ ‘800 nel suo

trattato sull’influenza della musica sul corpo umano sosteneva

l’importanza dell’arte musicale nella cura di alcune malattie.

La musicoterapia influisce sulle funzioni cerebrali e sul

comportamento umano riducendo l’ansia, lo stress, la pressione

arteriosa, i sintomi della depressione, nonchè migliorando la

memoria, le funzioni cognitive e motorie, l’apprendimento spazio-

temporale e la neurogenesi, cioè la capacità del cervello di produrre

neuroni. Sono noti i corsi del neuroscienziato Kiminobu Sugaya

120

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Mater, 15 Giugno 2004

(per la morte della madre)

Do Orlando Elia

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e del violinista di fama mondiale Ayako Yonetani su “Music and

the Brain” al Burnett Honors College dell’Università Centrale della

Florida (Figure pag.123). Gli studiosi riportano come pazienti

affetti da malattie neurodegenerative quali il morbo di Alzheimer

e il morbo di Parkinson, non in fase avanzata, rispondono

positivamente alla musica ed in particolare alla loro musica

preferita. Tutto ciò può essere verificato utilizzando la risonanza

magnetica funzionale che mette in evidenza come molte parti

del cervello si illuminano con la musica. Cantare, suonare uno

strumento, ballare e comporre musica in genere possono migliorare

le condizioni psico-fisiche dei malati di Alzheimer nei quali si

assiste anche alla riduzione dell’agitazione, al miglioramento

del tono dell’umore, del comportamento e della socializzazione.

“L’intervento musicale, con la sua influenza sui livelli non verbali

della comunicazione e il carattere evocativo e di riattivazione

della memoria rappresenta uno strumento ideale di intervento nei

malati con gravi deficit cognitivi” (Montinaro, 2019). Il riascolto

individuale di suoni e musiche familiari che ricordano eventi

passati può stimolare la memoria dei pazienti con Alzheimer o con

demenza senile. I ricordi musicali infatti sono spesso preservati

dalla malattia perchè le aree chiave legate alla memoria musicale

non vengono generalmente danneggiate. Dall’ascolto individuale

si può passare in un tempo successivo alla musicoterapia di gruppo

per un maggior coinvolgimento. Nel morbo di Parkinson è stato

osservato come la musica ritmica interrompe temporaneamente

la sintomatologia tanto che è stata utilizzata per aiutare i malati ad

alzarsi, abbassarsi ed a camminare; gli effetti sono però transitori.

La musicoterapia associata alla camminata sul tappeto ruotante

può migliorare l’equilibrio ed il tono muscolare. Numerosi studi

hanno dimostrato risultati favorevoli della musicoterapia associata

alla danza. Suoni e danza possono contribuire al mantenimento

dell’attività motoria, migliorano il tono dell’umore ed esercitano

attività antidepressiva. Buoni risultati della musicoterapia sono

stati osservati anche nella epilessia farmacoresistente.

123

“Your Brain on Music” (Sugaya e Yonetani)

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(Sede del pensiero e dei

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Il cervello umano e il sistema nervoso sono programmati per distinguere la musica dal

rumore. Sono in grado di rispondere al ritmo, alla ripetizione dei suoni, ai toni, alle

melodie. Gli studi che utilizzano la risonanza magnetica e la tomografia a emissione di

positroni (PET) permettono di comprendere quali reti nervose hanno la responsabilità

primaria nella decodifica e interpretazione degli effetti musicali. Con la Risonanza

Magnetica parti diverse del cervello “si illuminano” con la musica.

124

Nucleo Accumbens

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l’umore, la frequenza cardiaca,

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da: Sugaya e Yonetani: “Your Brain on Music”.

In: Pegasus: The Magazine of the University of Central Florida.

125

Nei bambini affetti da encefalopatia epilettica resistente al

trattamento farmacologico l’ascolto di musiche di Mozart per due

ore al giorno per quindici giorni ha ridotto il numero di crisi

convulsive “da notare che la maggior parte delle epilessie originano

dal lobo temporale e cioè dalla stessa sede in cui viene elaborata la

musica a livello cerebrale” (Montinaro, 2019).

Numerosi studi sono stati compiuti su pazienti oncologici.

Determinate musiche, un intenso contatto con la natura, unite alla

preghiera sono in grado di indurre uno stato di rilassamento e di

pace. Pensieri positivi e di felicità probabilmente attivano il sistema

dell’ossitocina e quindi il sistema di calma e connessione. In pazienti

con malattia avanzata è stato utilizzato un approccio integrato di

musicoterapia, psicoterapia ed assistenza spirituale che inducono

serenità e speranza negli ultimi momenti della vita (Bradt et al.,

2016).

Modalità con cui la musicoterapia può essere integrata nelle cure

La musica, quando è integrata nella cura del malato, può essere

ricettiva passiva (semplice ascolto di brani musicali che si adattano

al caso clinico) o attiva. In questo caso è guidata da un terapista

esperto. Gli effetti più benefici della musicoterapia presuppongono

comunque la partecipazione diretta del paziente alla produzione

musicale.

Musica e Sonno

La musica a basso volume trasmessa durante le fasi di sonno

profondo è in grado di migliorare le capacità di memorizzazione

del cervello. Anche il consolidamento della memoria si realizza

attraverso le onde cerebrali lente che caratterizzano il sonno

profondo: esse sono fondamentali per il funzionamento neuronale

(Montinaro, 2019).

Musicoterapia, Psicoterapia, terapia vascolare BEMER®

Recenti ricerche sulla associazione di musicoterapia e psicoterapia

forniscono risultati promettenti nei pazienti con sindrome

depressiva in cui si ottiene un aumento del tono dell’ umore

superiore a quello prodotto dalla terapia standard (Maratos

et al., 2009). L’ associazione musicoterapia-terapia vascolare

BEMER® (Bio-Electro-Magnetic-Energy-Regulation) con sedute

di psicoterapia determinano un miglioramento psicofisico nelle

affezioni caratterizzate da deficit di ossigenazione tissutale. La terapia

BEMER® è un trattamento fisico di induzione elettromagnetica

pulsata a bassa frequenza ed a bassa energia generata da un

materassino, dotato di bobine elettromagnetiche integrate, su cui

si sdraia il paziente. Il trattamento migliora la perfusione ematica

con stimoli vasomotori sulla rete capillare e determina una

maggiore ossigenazione tissutale particolarmente utile nei soggetti

affetti da malattie metaboliche quali il diabete, malattie circolatorie

e neurodegenerative (Giacchè e Capecchi, 2020).

126

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